Stampa

Uscire 2. Abramo, l'uomo delle uscite

Quando Abram fu chiamato dal Signore (Gen 12,1-3), egli era già un uomo in uscita e, forse per questo, la chiamata che gli fu rivolta non fu ad uscire (yṣ’), ma a camminare (hlk), ad andare verso se stesso (lek lekā), lasciando il paese, il clan e la casa paterna. Egli fu quindi chiamato a rendere più radicale quel movimento già iniziato e ad assumerlo personalmente [...].
Abram fu l’uomo delle uscite. Certamente non fu l’unico uomo ad uscire per comando del Signore. Prima di lui Noè lasciò che il suo passo in entrata e in uscita dall’arca fosse regolato dal ritmo dato da Dio (Gen 6,18.19; 7,1.7.13; 8,15.18), ma per Abram l’uscita divenne il paradigma di un’esistenza.

Quando fu chiamato da Dio, non solo era già uscito dal grembo materno, ma era già uscito perché coinvolto da suo padre Terach, nella migrazione da Ur dei Caldei verso il paese di Canaan (Gen 11,31). Terach aveva autoritariamente preso tutti quelli di casa, dopo la morte del figlio Aran, l’unico che avesse osato sfidare la supremazia paterna generando a sua volta un figlio. Evidentemente in quel clan, con un padre-padrone come Terach, non c’era posto per un altro padre. La sterilità di Sarai (Gen 11,30), sterilità della coppia, sembra segno eloquente dell’impossibilità di procedere seguendo il solco dell’uscita come l’aveva intesa Terach, il quale, tra l’altro, non riuscirà a portare a compimento il suo progetto, perché morirà a Carran.
Su questo sostrato fallimentare, fatto di tentativi e compromissioni umane, giunge con novità inaspettata la chiamata divina. Dio rilancia la storia; Abramo è invitato ad «andare verso se stesso», ad abbandonare la sicurezza ma anche l’angustia della casa paterna e ad osare il passo in uno spazio aperto, muovendosi nella fiducia radicale . Si tratta di vivere come promessa l’andare verso «il paese che ti farò vedere» (Gen 12,1) e non come fuga da ciò che ha il sapore di morte. Si tratterà per Abram di un cammino di pazienza, di un cammino di lento apprendistato che lo porterà ad esplorare lo spazio aperto della relazione con il Dio «che fa uscire».
(da L. Invernizzi, «Esci e cammina! Appunti di viaggio per esseri di nascita», Servitium III 2013(2014) 17-24, 17-19)

 Traccia per la preghiera personale

Leggi con calma la parabola

Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»» (Lc 15,11-32)

Domande per te
- Ritieni di poter individuare, nella tua biografia umana e spirituale, delle chiamate ad andare verso te stesso? Come si sono presentate? Ti sei messo in cammino o ti sei arrestato? Sei uscito o sei rimasto al chiuso?
- L’andare verso te stesso che cosa ti ha fatto scoprire di Dio, degli altri, del mondo?
- Che cosa vedi all’orizzonte? Quale promessa di vita ti mette in cammino?
- L’uscita dalla casa, dalla tua famiglia (se l’hai già sperimentata) è stato motivo di nuovi inizi?
- Da che cosa ti sei distaccato del vecchio modo di procedere, di porsi di fronte alla vita, che è proprio dei tuoi familiari? Che cosa c’è di nuovo?
- Lontananze e ritorni fanno parte delle dinamiche relazionali di ciascuno. Ti sei mai percepito lontano da Dio? Hai mai provato a tornare a lui?

Preghiera

Signore Dio,
contemplo la tua azione che fa uscire gli uomini,
che fa percorrere sentieri di vita nuova.
Ascolto anche per me la tua Parola: “Vai verso te stesso”.
È una Parola capace di creare.
Essa scende nel cuore,
lo riempie con la sua promessa,
diventa comandamento,
si fa vocazione.

Intuisco che anche per me è fondamentale uscire,
ricomprendermi alla luce di questa chiamata originaria
che è per ogni uomo.
Nel viaggio verso me stesso
Tu mi sei Padre:
prepari l’itinerario, apri la strada, proponi nuovi inizi.
La svolta della mia vita viene da Te.

C’è un cammino per me oggi.
Ha una direzione: non è un paese lontano (Lc 15),
luogo di fuga e di morte.
È il paese che Tu mi fai vedere (Gn 12),
la meta carica di vita.
La fede mi muove.
Accetto di uscire dalla casa di mio padre
e di lasciare i modi di procedere che ho avuto finora.
È fondamentale una distanza da ciò che mi tiene schiavo,
da ciò che non mi fa camminare, mi paralizza.
Dammi il coraggio
di abbandonare spazi noti, ma chiusi e fallimentari,
per esplorare la terra di una nuova relazione con Te.
Uscire per rientrare: questo ha il sapore della libertà.

a cura di Barbara Olivato

I testi possono essere liberamente usati purché vengano citate le fonti.

CARLO MARIA MARTINI E GLI ANNI DI PIOMBO

 

In cammino con la Chiesa

 

Attualità

Percorsi

Articoli recenti

Speciale Quarantesimo

LOGO 40 Ausiliarie Diocesane

Il logo

Programma del 40esimo

AUSILIARIE DIOCESANE: 40 anni di «GRAZIE»

L'Arcivescovo alle Ausiliarie: «Questo è il tempo della vostra missione»

Video: Ausiliarie diocesane: «Testimoni coraggiose della vita consacrata»

Programma del convegno: Il piacere spirituale di essere popolo

Un appuntamento atteso da quarant'anni: le Ausiliarie Diocesane in udienza da Papa Francesco

Area riservata

Chi è online

Abbiamo 22 visitatori e nessun utente online

I cookies ci aiutano ad offrirti un servizio migliore. Continuando a navigare accetti l'utilizzo dei cookies.