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n. 29: Catechesi, catechisti e catechismo

PROPOSIZIONE 29: CATECHESI, CATECHISTI E CATECHISMO
Una buona catechesi è essenziale per la nuova evangelizzazione. Il Sinodo richiama l’attenzione sul servizio indispensabile che rendono i catechisti alle comunità ecclesiali ed esprime la sua profonda gratitudine per la loro dedizione. Tutti i catechisti, che sono allo stesso tempo evangelizzatori, devono essere ben preparati. Ogni sforzo deve essere fatto, in funzione delle possibilità della situazione locale, per offrire ai catechisti una solida formazione ecclesiale, cioè spirituale, biblica, dottrinale e pedagogica. La testimonianza personale della fede è di per sé una forma potente di catechesi.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica e il suo Compendio sono, anzitutto, una risorsa per l’insegnamento della fede e per sostenere gli adulti nella Chiesa nella loro missione di evangelizzazione e di catechesi.
Conforme alla lettera apostolica Ministeria quaedam di papa Paolo VI, le Conferenze episcopali hanno la possibilità di chiedere alla Santa Sede l’istituzione del ministero di catechista.

Penso sia urgente ribadire la necessità, nelle nostre comunità ecclesiali, di dare più posto e più importanza alla formazione dei catechisti, troppo spesso trascurata, sottovalutata o lasciata a un fai-da-te infecondo. Il Direttorio Generale della Catechesi (Congregazione del Clero, LEV 1997) al n. 234 afferma:
Qualsiasi attività pastorale, che non faccia assegnamento per la sua realizzazione su persone veramente formate e preparate, mette a rischio la sua qualità. Gli strumenti di lavoro non possono essere veramente efficaci se non saranno utilizzati da catechisti ben formati. Pertanto, l’adeguata formazione dei catechisti non può essere trascurata in favore dell’aggiornamento dei testi e di una migliore organizzazione della catechesi”.
I metodi possibili al servizio della formazione sono molti. In questi ultimi anni, la Chiesa italiana, ha indicato un modo concreto di gestire la formazione dei catechisti della Iniziazione Cristiana, ma anche ciò che essi stessi sapranno attuare con i destinatari. Si tratta del modello laboratorio.
Il termine è entrato prepotentemente in questi ultimi anni nel linguaggio formativo. La caratteristica principale del laboratorio è quella di produrre facendo, sperimentando, e di assumere l’esistenza e il vissuto dei partecipanti come luogo di ricerca, di analisi e d’intervento. Questo metodo non è l’unico possibile, ma si raccomanda per la sua provata efficacia e qualità formativa. (vedi UCN, La formazione dei catechisti nella comunità cristiana, 2006).
In proposito, proprio in questi mesi, la Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi della CEI, sta redigendo una proposta di Orientamenti condivisi sul tema della catechesi in Italia, che terrà conto anche del tema non procrastinabile della formazione. Tale testo sarà poi sottoposto alla valutazione del’Assemblea generale dei Vescovi Italiani per l’approvazione, nella speranza di ricavarne veramente un orientamento comune per le diocesi italiane, e in ricaduta, per le nostre comunità parrocchiali.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica e il suo Compendio sono gli strumenti indispensabili per la formazione spirituale e teologica dei catechisti, dando loro un quadro completo dei contenuti della fede, in sintonia con la predicazione del messaggio cristiano, così come la Chiesa Cattolica lo professa nei secoli.

Il cambiamento avvenuto in questi anni nella società civile ha reso obsoleto il “catecumenato sociale” (come è stato sottolineato da alcuni catecheti come E. Biemmi, A. Fossion, e altri), in cui le grandi agenzie educative – la famiglia, la scuola, la parrocchia – proponevano i medesimi valori cristiani ed etici : era la cosiddetta “società cristiana”. Si andava a “dottrina” per mettere in ordine le idee, perché il resto i ragazzi già lo “vivevano”. A catechismo si “imparava”. Che cosa dobbiamo credere? E ti insegnavano il Credo. Che cosa dobbiamo ricevere? Ti spiegavano i sacramenti. Che cosa dobbiamo fare? E imparavi i dieci Comandamenti. Come rivolgersi a Dio? Ed ecco la preghiera. In questo contesto per essere catechisti era sufficiente essere mamme e qualche volte anche nonne (cfr Michele Roselli, Dossier Catechista, LDC Aprile 2012).
Oggi, questa “alleanza educativa” tra chiesa e società civile nelle sue varie forme espressive, quali appunto la famiglia e la scuola, non trova più sintonia. E’ decisamente cambiato il modo di vivere, di pensare e addirittura si possono usare le medesime parole ma dandone significato culturale differente. Ci si rende conto che non è più sufficiente “imparare il catechismo” ma, occorre integrare i contenuti della fede cristiani con la vita quotidiana. Dal Documento di Base (1970), nel corso degli anni, sono stati fatti diversi tentativi quali ad esempio il rinnovamento dei catechismi con l’intento di evidenziare “per la vita cristiana” e ci si è posti alla ricerca, coadiuvati anche dalle scienze umane, di nuove metodologie catechistiche e concretamente si è passati dal “tutto a memoria”, a favore di una educazione attorno ai contenuti di fede ma con una forte metodologia “scolastica”, al “niente a memoria” favorendo maggiormente l’aspetto esperienziale, a discapito però dei medesimi contenuti.

Sono convinta che la chiave del rinnovamento della catechesi sta nell’attivare un processo iniziatico, nell’introdurre alla fede cristiana, al suo contenuto (fides quae) e all’esperienza di essa (fides qua), e queste due dimensioni sono entrambe dono di Dio.
Per attuare, dunque, una “catechesi per la vita cristiana”, come la Chiesa invita già da tempo, dal Concilio Vaticano II in poi, occorre attivare una formazione che aiuti i catechisti al passaggio da una catechesi che “mette in ordine le idee” ad un accompagnamento verso la pienezza della vita cristiana.

I padri sinodali ci ricordano inoltre che la testimonianza della vita cristiana è la prima insostituibile forma di catechesi. Come già ci ricordava Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi (n. 41), l’uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, più all’esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie.
La prima forma di testimonianza è la vita stessa del catechista, della famiglia cristiana e della comunità ecclesiale, che rende visibile un modo nuovo di comportarsi. Il catechista che, pur con tutti i limiti e difetti umani, vive con semplicità secondo il modello di Cristo, è un segno di Dio e delle realtà trascendenti e può, nel medesimo tempo, narrare e annunciare quanto il Signore sta compiendo nella sua vita. Ma tutti nella Chiesa, sforzandoci di imitare Gesù il Maestro, possono e debbono dare tale testimonianza (cfr LG 28.35.38), che in molti casi è l’unico modo possibile di essere missionari ed evangelizzatori.

Maria Grazia Rasia

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