L'urgenza della Pasqua
Il lieto annuncio della Pasqua: un’urgenza che impegna definitivamente la nostra vita
Come le donne della resurrezione, le Ausiliarie accolgono il lieto annuncio della Pasqua come un’urgenza che impegna definitivamente la loro vita ad annunciare Gesù Signore in una testimonianza appassionata del suo Vangelo.
Come le donne della resurrezione, si stringono attorno a Gesù con affetto e venerazione riconoscendolo nella preghiera e ricevendo da Lui l’invito alla testimonianza e alla missione.
Come le donne della resurrezione, vivono la gioia messianica e la speranza pasquale proclamando Gesù vivo e presente nella storia umana ed operando perché questa storia sia, per tutti, luogo di salvezza e di santità.
(dallo Statuto)
La Parola e lo Spirito ci consegnano l’icona di quelle benedette donne che il mattino di Pasqua si recano al sepolcro per prendersi cura del corpo di Gesù. Quel giorno il Signore Risorto affida loro la cura premurosa del suo corpo che è della Chiesa.
"Venite a vedere il luogo dove era deposto". La nostra vocazione nasce presso il sepolcro vuoto, che interroga la fede e la vita. Qui comprendiamo che quel Gesù che ci ha amate, guarite, raccolte, salvate… ora è da cercare e da amare nella sua Chiesa: là lo vedrete.
"Andate a dire" è l’urgenza che impegna definitivamente la nostra vita.
Il grido gioioso della Risurrezione di Gesù, vivo e presente, è buona notizia per noi e testimonianza da portare presto alla storia degli uomini e delle donne, perché questa storia sia, per tutti, luogo di salvezza e di santità (Statuto 7).
L'icona delle donne della Risurrezione e la nostra vocazione
Il nostro essere donne
Dopo gli eventi della morte e della deposizione del corpo di Gesù, dopo il Sabato, ricorda l’evangelista Matteo, quasi ad annunciare qualcosa di nuovo per quel primo giorno della settimana, senza aspettare il sorgere del sole, ma ancora all’albeggiare del giorno, Maria Maddalena e l’altra Maria si recano a far visita al sepolcro di Gesù.
Sono donne che hanno amato molto Gesù, per questo l’hanno seguito (Mt 27,56), donne che hanno saputo stare presso il Sepolcro (27,61), sono donne ferite dalla vita e rese ancora più vulnerabili dalla morte del Signore, ma sono donne tenaci e dopo il sabato all’albeggiare del giorno tornano al Sepolcro.
Contemplandole in questo loro movimento ci è restituito tutto il nostro essere donne nel nostro modo di amare, di seguire, di stare, ma anche di essere ferite e vulnerabili. E ci è suggerito di tornare anche noi a quel sepolcro per essere guarite, raccolte, salvate, consolate e mandate da Lui.
Guardando attentamente gli avvenimenti di quella mattina scopriamo che quelle donne che vanno al sepolcro a visitare il corpo di Gesù, ci mostrano dove è avvenuta la nostra chiamata, dove possiamo incontrare il Risorto e quale è il nostro mandato.
La sollecitudine per il corpo di Gesù
Colpisce la sollecitudine tutta femminile con cui quelle donne quella mattina andarono al sepolcro per curare il corpo di uno a cui avevano legato molte attese, molte speranze, un corpo che le aveva curate, che le aveva messe in cammino.
Il Vangelo di Marco racconta che andando verso il luogo della sepoltura, si chiedevano tra di loro come avrebbero potuto spostare la pietra che chiudeva il sepolcro, ma forse, dentro di loro, sapevano che non sarebbe certo bastata una pietra per sigillare l’ostinazione dell’amore che le legava a Lui.
Il Vangelo di Luca, invece, si ferma ad osservare che queste donne avevano dedicato il sabato a preparare gli oli e gli unguenti con cui ungere il corpo: un altro particolare che fa più preziosa una dedizione, perché preparata con cura.
Le donne, così come le descrive Matteo, arrivano al Sepolcro a mani vuote e senza la preoccupazione della pietra, quasi a dire che non hanno più niente che occupi i loro pensieri niente da offrire, se non loro stesse con tutta la loro povertà.
Quel corpo di Gesù di cui prendersi cura, per noi è la Chiesa, una Chiesa vicina, sul posto… la Chiesa locale. E’ la Chiesa che ci ha generato alla fede, che ci ha messo in cammino, che ci ha accompagnato, che ci ha fatto diventare grandi: anche noi come quelle donne desideriamo vedere questo Corpo pieno di vita, pieno di speranza e obbediente alla Parola data.
Come per quelle donne la nostra vocazione più vera, più definitiva, nasce lì: quando ci mettiamo in movimento per prenderci cura di quel corpo che ci ha amato, ci ha curato e alle volte ci ha scandalizzato, con le sue morti.
La nostra chiamata avviene in questo movimento di dono.
Il sepolcro vuoto
Il luogo dell’incontro è un sepolcro, luogo di morte e di desolazione, luogo per piangere e per custodire il ricordo.
Il sepolcro è vuoto, le guardie erano state mandate per custodire il corpo: avevano il corpo ma non sapevano della Parola promettente di Gesù; i discepoli avevano raccolto la Parola di Vita del Signore, ma la paura li teneva ben lontani dal corpo del crocifisso. Le donne che coraggiosamente vanno al Sepolcro portano con loro una Parola sussurrata e alle volte davvero difficile da pronunciare… ma hanno la Parola e vanno presso il corpo.
Occorre recarsi al Sepolcro e vederlo vuoto: è il sepolcro vuoto dell’indifferenza o della infedeltà nostra e delle persone che incontriamo, è il sepolcro delle fatiche e delle sofferenze; è un luogo che interroga la mia vocazione e mi costringe a continuare a cercare con ostinazione… è un luogo che prova la mia fede che non ha la pretesa di sostenere quella dei fratelli, ma desidera mettersi a fianco per accompagnarla.
Il sepolcro vuoto costringe a fare silenzio per ascoltare il sussurro di quella Parola che dentro di noi è soffocata da mille altre urgenze e dal Male che non smette di gridare.
Non temete, voi! Non lasciatevi prendere dalla disperazione o dallo scoraggiamento o dalla tiepidezza: So che cercate Gesù crocifisso; non è qui: è risorto, come aveva detto, ascoltate la sua Parola di salvezza.
Questo sepolcro diventa il luogo dell’ incontro con il Risorto, Parola e Corpo spezzato, al quale stringersi con affetto e venerazione.
Allora quel luogo prima sepolcro e poi spazio di incontro diventa la nostra casa, diventa il cuore in cui siamo ospitati, lì si colloca la nostra appartenenza, li conosciamo che le distanze, le infedeltà, le perdite e persino la morte sono superate e vinte…
In questo andare...
L’Amore è più forte della morte e diventa nuova partenza accogliendo il Suo invito: Presto andate dai miei fratelli e dite loro… C’è una nuova urgenza che impegna definitivamente la vita di queste donne in una testimonianza appassionata di quella Parola viva e vivente.
Vi precede in Galilea: il Signore ci precede in questa nostra storia, in questo nostro quotidiano occorre che riconosciamo la sua presenza forte e tenera e la ripresentiamo attraverso le nostre umanità ferite ma visitate.
Quello che desideriamo fare è di continuare ad incontrare il Risorto, frequentando i nostri fratelli e le nostre sorelle: ci capita di provare timore e gioia grande, quando, avvicinandoci al mistero inviolabile delle persone, riconosciamo quel Volto, quella Decisione, quell’Amore… quando nelle nostre e loro esistenze sperimentiamo una forza che va così in profondità, da non poter essere che Resurrezione: la cosa davvero meravigliosa di questa vocazione è che questo nostro andare non rimane la conseguenza di un Incontro avvenuto una volta ad un sepolcro, ma diventa nuovamente incontro là dove siamo mandate… cioè il nostro incontro con Lui, il nostro appartenere a Lui, il nostro legarci a Lui si rinnova in questo andare…
Il cercare di vivere l’Amore del Risorto diventa la fonte della nostra vita con Lui e ci chiede di imparare trovare la vita in questo Amore vivo, perché ha attraversato la morte e le nostre morti.
Roberta Casoli
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