DAL CAMMINO ALLA CORSA/4 La corsa e la forza di Paolo: “Quando sono debole è allora che sono forte”
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Abbiamo ricevuto in dono la fede, ci è stata trasmessa, abbiamo creduto. Da giovani e adulti stiamo credendo, la stiamo “personalizzando”, facendola nostra, la vogliamo conservare e correre in questo cammino verso la mèta, il faccia-a-faccia con Cristo e la pienezza di vita con Lui.
La Fede – ci insegna Paolo – è una relazione con il Signore che ci ha conquistati e che seguiamo per raggiungerlo(cfr. Filippesi 3,7-14). Ciò che conta infatti è la fede in Cristo Gesù, una fede che opera per mezzo della carità, giorno dopo giorno. Per fare questo ci sono due “segreti”, quello dell’umiltà (“Mi faccio tutto a tutti per il Vangelo”) e quello della verginità (“So in chi ho posto la mia fiducia… ho il pensiero di Cristo, a Lui appartengo”), capovolgendo nella vita personale la logica del mondo che respiriamo: Saulo significa “richiesto-desiderato” e quando matura diviene Paolo che significa “piccolo”, il più piccolo tra gli apostoli come lui stesso si è definito, per poter essere strumento nelle mani di Cristo con la tensione di “far passare Lui”, permettendo a quanti lo incontravano di scoprire il Risorto, e così condividere il Dono grande dell’essere figli di Dio.
L’Apostolo matura la sua fede comprendendo che l’annuncio della Lieta Notizia non passa con la forza e l’arroganza, bensì nella debolezza, nelle contrapposizioni, dell’essere un apostolo di Cristo incompreso e rifiutato, non solo con gli “avversari” ma all’interno della stessa comunità cristiana. San Paolo scopre nella preghiera che la Grazia di Dio agisce così, e l’accetta come dono, per sé e per la Chiesa.
Con una certa ironia, san Paolo nella seconda lettera ai Corinzi elenca i “titoli” e le motivazioni della sua dignità di apostolo di Cristo, non recede di un passo, e accoglie l’esperienza dura degli “oltraggi, difficoltà, persecuzioni e angosce”, per poter smascherare giochi di potere tra i cristiani di Corinto.
Quanto Paolo scrive al capitolo dodicesimo (12,7-10; lo trovate qui sotto) insegna anche a noi che l’annuncio della mentalità nuova che Cristo è venuto a portare, contrasta con i pensieri umani, avidi di potere, compiacimenti e interessi vari che non hanno nulla a che vedere con il Regno di Dio portato da Gesù Signore. Vivere la comunità cristiana, significa porsi a servirla nello stilo evangelico, e come San Paolo, disposti a correre per essa, ad essere “schiaffeggiati” dai vari inviati di Satana sempre presenti e pronti al giudizio insindacabile del “si è sempre fatto così” o peggio “va tutto bene così!”.
Certamente Paolo le percosse le ha subite fisicamente, per noi, al momento, sono solo “morali”, anche se fanno soffrire ugualmente!
Ciò che risolleva Paolo, e noi dandoci la “forza di correre” per il Vangelo, è la Pasqua di Cristo che è sì Vita e Risurrezione, ma senza dimenticare, o peggio non considerare “perché non ci piace”, che essa comprende la Passione e la Morte. Pasqua è Passione-Morte-Risurrezione, non la si comprende se si considera solo la Risurrezione.
È stato così per Cristo, il Figlio di Dio;è stato così per san Paolo e lo è anche per ciascuno di noi.
Così San Paolo scopre la Grazia di Dio che viene in aiuto e soccorre nella debolezza e nei contrasti per il Vangelo, confermando così una testimonianza e un annuncio autentici, senza doppi fini.
Sempre in questa lettera san Paolo (2 Cor5,14-15) aveva scritto: “L’amore di Cristo ci spinge … perché quelli che vivono non vivano più per se stessi ma per Colui che è morto e risuscitato per loro”, e quando gli eressero una chiesa sul luogo del martirio subìto (flagellazione e decapitazione in quanto cittadino romano), incisero attorno all’altare in parole d’oro ciò che egli aveva scritto ai Filippesi: “Per me vivere è Cristo e morire è un guadagno” (1,21). Ha ragione lo storico Daniel Ropsche per definire San Paolo ha scritto: “Egli è il primo, dopo l’Unico”.
M. Grazia Rasia, Ausiliaria diocesana
Per andare in profondità: 2Corinzi 12,7-10
7 […] Affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. 8 A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. 9 Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. 10 Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte (2Cor 12,7-10).
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