Che tu possa vivere a lungo!
Giusy, che studia mediazione culturale, ha trascorso anche la scorsa estate in Tunisia, per frequentare dei corsi di lingua araba in una delle più antiche Università e per condividere la vita della gente, entrare nella cultura, comprendere "dal di dentro". Ecco il racconto della sua esperienza.
"Come stai?", "Bene!", si salutano così i tunisini come tutti i popoli. In realtà, la risposta contiene un significato più profondo che richiama la parola "vivere", letteralmente: "Che tu possa vivere a lungo!" Questa parola utilizzata continuamente contiene un implicito desiderio di vita, di cambiamento, di libertà, come dicono loro stessi, all'alba della Primavera araba.
Libertà da cosa? Libertà per cosa? Difficile dirlo, perché difficile chiarirselo: il cammino di ricerca della libertà è lungo e tortuoso, tanto per un popolo, quanto per ciascuno di noi.
Ho cercato di intuire e condividere questo itinerario, immergendomi in una realtà che, a sole due ore di volo, è completamente diversa dall'Italia. L'ho fatto, immergendomi con il cuore, custodendo uno sguardo che sapesse accogliere ed essere allo stesso tempo prudente, vivendo io per prima l'esperienza di essere in terra straniera bisognosa di casa, e trovandola dentro l'accoglienza quotidiana di una comunità religiosa, di una comunità parrocchiale, della gente che ho incontrato e con cui ho condiviso un po' di tempo.
La giornata era scandita dallo studio dell'arabo, dalla vita comunitaria con la comunità che mi ha ospitato, suore missionarie del Verbo Incarnato, e da alcune esperienze pastorali, vissute sia in parrocchia (nella cattedrale di Saint Vincent) sia nelle visite occasionali ad alcuni quartieri poveri di Tunisi (Melassine, in particolare): sono state esperienze che mi hanno permesso di vivere quel tempo nel modo che sento più bello: condividendo, stando in mezzo, vivendo dunque la lingua non come oggetto di studio, ma come motivo di comunicazione e comunione... Così, ho avuto occasione di ascoltare la voce di coloro che poi incontriamo nelle nostre città, che a volte danno fastidio, che "non si integrano": ho tentato di uscire dai confini del cuore che troppo facilmente giudica, per provare a capire cosa significhi per loro lasciare e partire; in altre parole ho tentato di «avvicinare facendo in modo che coloro che accostiamo sentano di essere amati» (come dice lo Statuto).
La Tunisia è in un momento di passaggio molto delicato sotto tanti punti di vista: la politica, la condizione delle donne, la ricerca di una sana laicità dello Stato; e come ogni passaggio è caratterizzato anche da molte contraddizioni. Lo si legge nella storia di molti, di chi racconta il travaglio di questi tempi, il desiderio di guardare avanti in modo nuovo; ma lo si vede anche passeggiando per le strade e nella medina di Tunisi, nel modo in cui la gente si veste, si comporta, si saluta... L'incontro con le donne poi è sempre molto significativo: si percepisce quella sintonia che va oltre ogni differenza religiosa e culturale, perchè prima di tutto è una sintonia umana.
Dunque in terra arabo-musulmana ho colto ancora più in profondità quanto sia importante per noi -in ogni situazione- scendere, discendere, stare, come ha fatto Gesù tutta la vita... E' il cammino di una vita intera, che non si ferma sulle proprie posizioni, ma si lascia interpellare dall'altro che incontra. Disposti anche a lasciare qualcosa di noi per ritrovare nell'altro ciò che ci unisce, creando uno spazio perché un Altro abiti la relazione e la renda feconda... gustando una forza di vita e una gioia profonda che non può essere che Risurrezione.
Giusy Valentini
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