PORSI ACCANTO A CHI SOFFRE: un'esperienza di cappellania
In occasione della XXX giornata mondiale del malato il Santo Padre ha scritto un messaggio dal titolo “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Porsi accanto a chi soffre in un cammino di carità”.
Il Policlinico dove presto servizio è una realtà molto grande e complessa. Il servizio religioso presente in esso oltre a me è composto da tre sacerdoti a tempo pieno e uno part-time, la comunità delle suore di Maria Bambina, il sabato e la domenica sono presenti anche cinque seminaristi.
Ho chiesto ad una suora e ad un cappellano che cosa significhi per loro porsi accanto a chi soffre.
Il Policlinico dove presto servizio è una realtà molto grande e complessa. Il servizio religioso presente in esso oltre a me è composto da tre sacerdoti a tempo pieno e uno part-time, la comunità delle suore di Maria Bambina, il sabato e la domenica sono presenti anche cinque seminaristi.
Ho chiesto ad una suora e ad un cappellano che cosa significhi per loro porsi accanto a chi soffre.
SUOR CHIARA (superiora della comunità delle suore di Maria Bambina residenti in ospedale) sintetizza con queste parole quello che è nato nel confronto con la sua comunità.
“Nella lettura del nostro contesto è emerso il bisogno, fondamentale per tutti e in particolare dei malati, della vicinanza e dell’ascolto. Ci sentiamo perciò chiamate a prenderci cura di ogni persona che incontriamo nel nostro servizio, nel desiderio che attraverso di noi si esprima l’amore compassionevole del Padre.
Cerchiamo perciò di assumere uno stile che sia caratterizzato dalla familiarità con Gesù, con la sua Parola, con i sentimenti e con i tratti del suo cuore: carità, dolcezza, umiltà, anche quando comprendiamo che la nostra presenza non è gradita: a questo ci conduce anche l’esempio di santa Bartolomea.
La situazione dei reparti è sempre più complessa per tanti motivi e il tempo a disposizione per incontrare i degenti è spesso molto breve e a volte insufficiente per instaurare una relazione di fiducia che consenta una reciproca apertura del cuore. Cerchiamo comunque di non lasciar passare occasione per stare accanto al malato, perché si senta riconosciuto come persona nella sua interezza e soprattutto come oggetto della misericordia di Dio. A volte i pazienti raccontano della loro malattia, a volte raccontano della loro famiglia, a volte chiedono preghiere e spesso preghiamo insieme a loro. Il nostro impegno è anche quello di pregare per loro e di portarli nella S. Messa.
Nei reparti cerchiamo di avere un occhio di attenzione anche per il personale che sappiamo oberato di lavoro e spesso con situazioni problematiche nella vita privata. Cercando di non intralciare il loro servizio, viviamo un’attenzione semplice nel desiderio di portare un po’ di sollievo e comprensione. Questo dovrebbe avere una ricaduta di bene anche sul malato.”
“Nella lettura del nostro contesto è emerso il bisogno, fondamentale per tutti e in particolare dei malati, della vicinanza e dell’ascolto. Ci sentiamo perciò chiamate a prenderci cura di ogni persona che incontriamo nel nostro servizio, nel desiderio che attraverso di noi si esprima l’amore compassionevole del Padre.
Cerchiamo perciò di assumere uno stile che sia caratterizzato dalla familiarità con Gesù, con la sua Parola, con i sentimenti e con i tratti del suo cuore: carità, dolcezza, umiltà, anche quando comprendiamo che la nostra presenza non è gradita: a questo ci conduce anche l’esempio di santa Bartolomea.
La situazione dei reparti è sempre più complessa per tanti motivi e il tempo a disposizione per incontrare i degenti è spesso molto breve e a volte insufficiente per instaurare una relazione di fiducia che consenta una reciproca apertura del cuore. Cerchiamo comunque di non lasciar passare occasione per stare accanto al malato, perché si senta riconosciuto come persona nella sua interezza e soprattutto come oggetto della misericordia di Dio. A volte i pazienti raccontano della loro malattia, a volte raccontano della loro famiglia, a volte chiedono preghiere e spesso preghiamo insieme a loro. Il nostro impegno è anche quello di pregare per loro e di portarli nella S. Messa.
Nei reparti cerchiamo di avere un occhio di attenzione anche per il personale che sappiamo oberato di lavoro e spesso con situazioni problematiche nella vita privata. Cercando di non intralciare il loro servizio, viviamo un’attenzione semplice nel desiderio di portare un po’ di sollievo e comprensione. Questo dovrebbe avere una ricaduta di bene anche sul malato.”
“La domanda porsi accanto a chi soffre - dice DON GIUSEPPE (Rettore Vicario della parrocchia ospedaliera Santa Maria Annunciata) – è un po' perniciosa in quanto camminare con chi soffre, porsi accanto, a mio modo di vedere è un po' riduttivo. Stare accanto ad una persona è una cosa, camminare con lei è un’altra. E’ chiaro che non ti puoi mettere nei suoi panni, però devi almeno avere il desiderio di entrare in sintonia con lei. Penso che la prima cosa sia mettersi dentro la realtà di chi soffre non in maniera presuntuosa, ma in maniera molto discreta, molto semplice, non pretendendo di capire ma desiderando di comprendere e di essere compresi dentro questa realtà. Vuol dire entrare nella vita degli altri in punta di piedi, con sacrosanto rispetto del momento che stanno vivendo, cercando di mettersi alla scuola anche silenziosa della sofferenza, senza scandalizzarsi delle parole che possono scaturire dal dolore e senza volere a tutti i costi riempire di significato questi passaggi faticosi dell’esistenza. Bisogna stare dentro la realtà, non entrarci con parole confezionate, ricette, bacchette magiche che, di fatto, non portano da nessuna parte. Stare nella vita di chi soffre è, in qualche modo, abitare con lui/con lei il suo dolore, farsene carico. E’ l’esperienza di essere ferito insieme a chi è ferito, perché solo chi ha una ferita riesce a intuire la ferita altrui. L'esperienza ci insegna che da feriti bisogna cercare di guarire e quindi stare accanto, accompagnare e prendersi cura ma nello stesso tempo occorre lasciarsi curare, quindi generare nel rapporto quella reciprocità che non mette l’ammalato/a in condizione di inferiorità ma semplicemente lo fa cogliere in una situazione diversa della vita, paradossalmente in una situazione che in un batter d'occhio potrebbe diventare anche la tua.”
“Chi nella propria vita si è sempre protetto dalle esperienze del dolore, non potrà offrire agli altri che una vuota consolazione” (H. J. Nouwen). Per aiutare chi soffre bisogna prima avere coscienza delle proprie ferite…ferite legate alla solitudine, alla malattia, al peccato, all’immaturità.
Nel mio servizio sono legata al quotidiano contatto con il dolore, la morte, le situazioni di crisi: se non si riconosce la propria vulnerabilità non si possono aiutare gli altri, addirittura il rapporto con gli altri diventa pesante. Bisogna fare pace e sintesi dentro di sé con queste ferite, con questa dimensione notturna della vita, allora ci si può accostare agli altri e aiutarli.
Sulla scrivania ho una scatola dove si possono mettere tante cose: ogni giorno ci metto tutte le ansie, le preoccupazioni, le speranze, i desideri, le preghiere dei malati e anche del personale e poi, a sera, la apro e “regalo” il contenuto a Gesù.
Stefania Ganassin
Assistente spirituale Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico
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