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"Donna, chi cerchi?": la responsabilità

LA VISITAZIONE (Lc 1,39-45)
 
Nel primo capitolo del suo vangelo Luca ci presenta due annunciazioni: la prima narrata nei versetti 13-17 in cui l’angelo del Signore annuncia a Zaccaria la nascita di un figlio che sarà Giovanni Battista; la seconda nei versetti 26 – 38 in cui l’angelo annuncia a Maria la nascita di Gesù. Questo è l’unico episodio del vangelo che ha come protagoniste due donne, entrambe recanti con sé un dono. 
 
Gli esperti sottolineano che l’incontro tra le due donne è soprattutto un incontro tra Gesù e Giovanni Battista, che si stanno formando nel loro grembo; e questo è parzialmente vero. Infatti, nella società ebraica che escludeva le donne dalla vita pubblica, esse erano solo considerate in riferimento ad un uomo, «la figlia di», «la moglie di», «la madre di». Luca, invece, presta particolare attenzione ai personaggi femminili e ci chiede di guardare a loro, perché abbiamo molto da imparare. 
Protagonisti in questo brano sono le due madri, visibili sulla scena, una di fronte all'altra. Invisibili, perché nascosti nel grembo delle loro madri, i due bimbi, uno di fronte all'altro. E invisibile sulla scena, e tuttavia protagonista e visibilissimo nelle manifestazioni che suscita, lo Spirito Santo. 
Interessante è notare il contesto temporale. Dopo sei mesi dall’annuncio dell’angelo a Zaccaria avviene l’annuncio dell’angelo a Maria, la quale immediatamente parte e si reca da Elisabetta rimanendo poi da lei circa tre mesi. L'evangelista non dice se Maria rimane lì e assiste alla nascita di Giovanni, ma probabilmente succede così. Dopo le due annunciazioni troviamo questo brano che analizziamo e poi successivamente il Magnificat, che è il canto di lode di Maria di fronte a ciò che Dio ha compiuto nella sua vita.
 
Veniamo ora all’analisi più dettagliata dei versetti che ci parlano dell’incontro tra Maria ed Elisabetta 
v. 39: In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda
Ricevuto l’annuncio Maria non indugia, in fretta si alza e parte per raggiungere Elisabetta forse spinta da due motivi: verificare ciò che l’angelo le aveva detto (v. 36) e di conseguenza aiutarla nel caso di bisogno.  
Maria lascia Nazareth in Galilea per recarsi in Giudea a circa 150 Km in una località che la tradizione ha identificato con l’attuale Ain-Karem poco lontana da Gerusalemme. Il muoversi fisico mostra la sensibilità interiore di Maria che non è chiusa a contemplare in modo privato il mistero della divina maternità che si compie in lei, ma è proiettata sul sentiero della carità, del servire con la propria vita. Maria inizia a servire camminando facendo il suo pezzo di strada per compiere la sua missione a favore del popolo di Dio.  
Ma l’altro motivo per cui parte è sicuramente il desiderio di verificare il segno che dio le ha dato. Il segno e la verifica del segno appartiene alla logica delle rivelazioni. E’ quasi come se Dio non volesse che l’assenso avvenga al buio…è quindi questa una tappa ulteriore della Rivelazione dell’evento messianico, non un segno prova, ma un segno della Rivelazione. 
In questo suo partire Maria si mostra libera, libera di lasciare casa e fidanzato per tre mesi. 
  
La prima opera di Maria dopo l’annuncio è un viaggio, un viaggio faticoso, metafora della fede. Da notare che Maria non sceglie la via più lunga ma più sicura della vallata del Giordano, ma affronta la regione montuosa della Samaria più pericolosa e faticosa. Maria affronta il pericolo, il rischio tanto è forte il desiderio di mettersi a servizio della sua parente. E’ l’amore che non conosce difficoltà. Non a caso il vangelo di Luca ha al centro un altro viaggio: quello di Gesù verso Gerusalemme. 
Con un atto di fede comincia la storia della salvezza del mondo; Maria crede alla parola del Signore: vergine, diventa la Madre di Dio.
La fretta di Maria è conseguenza del fatto che quando Dio si manifesta negli eventi non si può rimanere fermi. Così Abramo corre per preparare ai tre ospiti (Gn 18,6), così Zaccheo quando scende dal sicomoro (Lc 19,6), così i pastori quando si affrettano a Betlemme (Lc 2,16).
 
Maria sa, per le parole dell’angelo, che la gravidanza insperata di Elisabetta ha a che fare qualcosa con la sua, che fa parte dello stesso disegno divino in cui lei coinvolta. E’ naturale che Maria corra verso Elisabetta per comprendere il mistero che la riguarda.  
Fermiamoci a contemplare la fretta di Maria, una fretta dettata dal riconoscimento di ciò che stava succedendo in lei e dal desiderio di vivere la prossimità a chi si trova nel bisogno
 
v. 40:  Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta
Maria entra in casa di Zaccaria, ma non saluta Zaccaria, il padrone di casa, ma saluta Elisabetta perché è lei che porta in sé la vita. Attorno a questo saluto si sviluppano gli aspetti più importanti dell’episodio
 
v. 41: Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo
Il saluto di Maria ha comunicato vita, Maria è mossa dall’amore che si fa servizio e l’amore che si fa servizio comunica, arricchisce e colma la vita dell’altro. Il bambino sente e sussulta. Nell’incontro tra due donne si manifesta il dono dello Spirito. Esultando nel grembo della madre Giovanni dà inizio alla propria missione di profeta che è quella di riconoscere il Messia 
 
Dopo il saluto di Maria, la scena - a prima vista - viene interamente occupata da Elisabetta: lei è salutata, avverte il movimento del bambino, è ripiena di Spirito Santo, proclama e racconta. Maria è completamente in silenzio. È sempre presente nelle parole di Elisabetta, ma non per qualcosa di suo, per una sua parola o un suo gesto.  Tuttavia la figura centrale è Maria, non Elisabetta. È di lei, infatti, che si parla. Certo, in ultima analisi, la meraviglia di Elisabetta è la venuta del Signore, ma il Signore è nascosto nel grembo di Maria e tutto è direttamente rivolto a Lei. 
 
v. 42: Elisabetta esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!”
Nelle prime parole di Elisabetta riecheggia la prima parola di Dio sull’uomo e sulla donna: “Dio li benedisse”. L’inizio di ogni dialogo fecondo è quando sai dire all’altro: “che tu sia benedetto. A chi condivide strada e casa, a chi mi porta un mistero: che tu sia benedetto, Dio mi benedice con la tua presenza, possa Lui benedirti con la mia presenza”
 
Fermiamoci a contemplare questo riconoscimento e questa benedizione della vita dell’altro e chiediamoci se anche noi siamo capaci di riconoscere il bene che c’è nell’altro
 
v.  43: A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?
Elisabetta è colta da un senso di meraviglia di fronte alla visita del Signore, meraviglia che nasce dal sentirsi indegna 
 
v. 44: Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo.
Elisabetta sente il bambino sobbalzare in grembo e - ripiena di Spirito Santo - comprende che si tratta di un gesto da leggere in ordine alla salvezza. Prima di nascere, il Battista già rinvia a Gesù. Giovanni, ancora nel seno materno, riconosce che Maria porta nel suo grembo il Messia ed esprime questo riconoscimento con un sobbalzo di gioia. Maria è portatrice di santificazione (lo Spirito), ma prima ancora di gioia. 
 
v. 45: "E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto" 
Ecco la beatitudine della fede, beatitudine che richiama la beatitudine rivolta da Gesù a Tommaso (Gv 20,29). Questa beatitudine sembra un rimprovero per il marito che – a differenza di Maria – non ha creduto- Questa è la prima beatitudine  che troviamo nel Vangelo Elisabetta riconosce Maria dapprima come Madre (Lc 1,42) e poi come credente (Lc 1,45).  
Il primo riconoscimento riguarda soltanto Maria: è infatti interamente espresso alla seconda persona singolare. "Tu sei benedetta fra le donne" (Lc 1, 42) II secondo, invece, è detto alla terza persona: «Colei che ha creduto». In tal modo l'espressione si dilata su un orizzonte più ampio.  
"Ora, beata è colei che ha creduto" (Lc 1,45) La maternità appartiene solo a Maria, invece nel suo atteggiamento di credente c'è posto anche per altri. Maria assume la figura del discepolo. 
 
Passiamo ora a cogliere da questo brano alcune sottolineature che ci aiutano a riflettere sul tema della responsabilità:
 
1) Innanzitutto la responsabilità di Maria nel custodire un dono così grande la porta a muoversi, ad andare, a non tenere questo dono per sé, ma la conduce a manifestarlo agli altri. Questo dono la porta a mettersi a servizio di Dio e di sua cugina. Dopo aver ascoltato un fatto (“Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile”) e deciso (“Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”) Maria agisce. Ella è responsabile perché con la sua azione risponde al dono che le è stato fatto.  
Maria non si ferma davanti a niente e a nessuno: è come se ci dicesse che una cosa, decisa dentro il cuore con profondità va fatta, perché in caso contrario marcisce dentro. Questo vale anche per le piccole  cose che abbiamo deciso di fare ma che però continuiamo a rimandare. 
 
Chiediamoci allora: come viviamo la nostra responsabilità di fronte a ciò che ci è chiesto di fare? 
Siamo solerti nell’agire oppure cediamo continuamente alla pigrizia?
Siamo responsabili di fronte anche al dono della fede che abbiamo ricevuto nel Battesimo, di questa nuova dignità da figli e figlie di Dio?
Quale è la fretta che spesso ci muove?
 
2)Elisabetta riconosce in Maria un grande dono e la benedice. Anche qui possiamo leggere questa benedizione come qualcosa che interpella la nostra responsabilità, una responsabilità che dobbiamo esercitare nel cogliere il dono dell’altro, nel cogliere i segni della presenza di Dio in noi e attorno a noi. Spesso i nostri occhi, ma ancor di più il nostro cuore sono chiusi nel riconoscere ciò che mi è stato donato, ma ancor di più è chiuso nel riconoscere l’altro come dono per me.
E’ quanto velatamente ci dice anche san Paolo nella Lettera ai Romani al v.10 del cap. 12: Gareggiate nello stimarvi a vicenda!
 
Chiediamoci allora: Sono capace di riconoscere il dono che è l’altro, sono capace di riconoscere i segni della presenza di Dio e so agire di conseguenza?
 
Paola Gervasi
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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