n. 22: La conversione
PROPOSIZIONE 22: LA CONVERSIONE
Il dramma e l’intensità dello scontro di sempre tra il bene e il male, tra la fede e la paura, devono essere presentati come lo sfondo essenziale, come un elemento costitutivo della chiamata alla conversione a Cristo. Questa lotta continua ad un livello naturale e soprannaturale. “Quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!” (Mt 7,14). Molti vescovi hanno parlato del bisogno di rinnovamento in santità nelle loro proprie vite, se vogliono essere degli agenti veritieri ed efficaci della nuova evangelizzazione.
La Nuova evangelizzazione richiede una conversione personale e comunitaria, nuovi metodi di evangelizzazione e un rinnovamento delle strutture pastorali, per essere capaci di passare da una strategia pastorale di mantenimento ad una posizione pastorale che è veramente missionaria.
La Nuova evangelizzazione ci guida verso una autentica conversione pastorale che ci spinge ad attitudini ed iniziative che portano a valutazioni e cambiamenti nella dinamica di strutture pastorali che non rispondono più alle esigenze evangeliche dell’epoca attuale.
Il tema della conversione è molto ampio e comprende diversi aspetti: ne evidenzio almeno tre, la conversione di chi desidera diventare cristiano, la conversione personale dei cristiani per rendere una testimonianza evangelica efficace, ed infine una conversione pastorale che miri ad adeguare l’annuncio evangelico alla situazione attuale e non a “difendere” le proprie strategie o metodi pastorali superati o comunque adatti ad un contesto sociale cristiano, tenendo conto delle indicazioni autorevoli del Magistero. Oggi, l’abbiamo compreso nel nostro percorso di lettura delle proposizioni sinodali fin qui svolto ma è un richiamo che arriva ancor prima dal Vaticano II, la sfida che sta davanti alla Chiesa è proprio quella di un annuncio del Vangelo all’uomo contemporaneo in qualsiasi latitudine esso si trovi a vivere.
1. L’annuncio della parola di Dio mira alla conversione cristiana, cioè all’adesione piena e sincera a Cristo e al suo Vangelo mediante la fede. La conversione è dono di Dio, opera della Trinità (ndr proposizione 4): è lo Spirito che apre le porte dei cuori, affinché gli uomini possano credere al Signore e “confessarlo” (cfr 1Cor 12,3). Di chi si accosta a Lui mediante la fede, Gesù dice: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (Gv 6,44). La conversione determina un processo dinamico e permanente che dura per tutta l’esistenza, esigendo un passaggio continuo dalla “vita secondo la carne”, alla “vita secondo lo Spirito” (Rm 8,3-13). Essa significa accettare, con decisione personale, la sovranità salvifica di Cristo e diventare suoi discepoli.
Oggi l’appello alla conversione è messo in discussione o passato sotto silenzio. Si vede in esso un atto di “proselitismo”; si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Ma si dimentica che ogni persona ha il diritto di udire la “buona novella” di Dio che si rivela e si dona in Cristo, per attuare in pienezza la sua propria vocazione (ndr proposizioni 6 e 9). La grandezza di questo evento risuona nelle parole di Gesù alla samaritana: “Se tu conoscessi il dono di Dio”, e nel desiderio inconsapevole, ma ardente della donna: “Signore, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete” (Gv 4,10.15).
2. Conversione personale permanente. La sintesi programmatica della predicazione di Gesù nel Vangelo di Marco è enunciata solennemente e nettamente: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15). Fede e conversione vanno di pari passo. Accogliere e vivere di fede significa entrare in un nuovo orizzonte di pensiero e adottare un nuovo stile di vita. Anche la nostra immagine di Dio deve essere convertita nell’incontro con Cristo. Non è la nostra idea di Dio che integra l’annuncio cristiano, ma è il Dio di Gesù Cristo, che egli porta e annuncia, a stravolgere e soppiantare – o almeno ad assorbire o purificare – la nostra immagine di Dio. E come l’immagine di Dio, anche la nostra immagine dell’uomo, della società, del mondo intero e delle correlative esigenze nell’agire ha bisogno di conversione.
Può evangelizzare solo chi a sua volta si è lasciato evangelizzare, chi è capace di lasciarsi rinnovare spiritualmente dall’incontro e dalla comunione vissuta con Gesù Cristo. Può trasmettere e testimoniare la fede, come afferma S. Paolo: “Ho creduto, perciò, ho parlato” (2 Cor 4,13). In questo senso la Nuova Evangelizzazione è soprattutto un compito e una sfida spirituale. E’ un compito di cristiani che perseguono la santità.
3. Conversione pastorale. Di fronte agli scenari della Nuova Evangelizzazione, i testimoni per essere credibili devono saper parlare il linguaggio del loro tempo annunciando così dal di dentro la ragione della speranza che li anima (cfr 1 Pt 3,15). Un simile compito non può essere immaginato in modo spontaneo, richiede attenzione, educazione e cura. A questo punto del discorso noi, italiani, non possiamo non ricordare le indicazioni che i nostri Vescovi, più volte nell’arco degli ultimi vent’anni, ci hanno rivolto in questo senso.
Come non ricordare, ad esempio, nel programma pastorale del primo decennio del 2000 Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia la chiara indicazione che per dare concretezza alle decisioni pastorali occorre operare una conversione pastorale? Tra l’altro questo termine e sollecitazione ci veniva ancor prima ribadita nella nota pastorale della CEI Con il dono della carità dentro la storia. La Chiesa in Italia dopo il Convegno di Palermo, 1996.
In CVMC al n. 46 si afferma: “… per imprimere un dinamismo missionario, vogliamo delineare due livelli specifici, ai quali ci pare si debba rivolgere l’attenzione nelle nostre comunità locali …
Il primo livello verificare e correggere il modo di vivere e celebrare il Giorno del Signore (compresi il tempo e lo spazio per una comunità che concretamente vive in un dato luogo), il secondo livello il verificare e lavorare per una fede adulta e pensata, la qualità della formazione cristiana, gli itinerari di iniziazione cristiana e di catecumenato”.
Ancora in modo più preciso, i medesimi orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000, al numero 59 affermano: “La comunità cristiana dev’essere sempre pronta a offrire itinerari di iniziazione e di catecumenato vero e proprio. Nuovi percorsi sono richiesti infatti dalla presenza non più rara di adulti che chiedono il battesimo, di “cristiani sulla soglia” a cui occorre offrire particolare attenzione, di persone che hanno bisogno di cammini per “ricominciare”. La nostra conversione pastorale è, in qualche misura, già in atto ed è sollecitata dai cambiamenti nella società e di fronte alla fede. Ci è richiesta intelligenza, creatività, coraggio. Occorrerà impegnare le nostre migliori energie in questo campo, mediante una riflessione teologico-pastorale e attraverso l’individuazione di concrete e significative proposte nelle nostre comunità … al centro di tale rinnovamento va collocata la scelta di configurare la pastorale secondo il modello della iniziazione cristiana, che – intessendo tra loro testimonianza e annuncio, itinerario catecumenale, sostegno permanente della fede mediante la catechesi, vita sacramentale, mistagogia e testimonianza della carità – permette di dare unità alla vita della comunità e di aprirsi alle diverse situazioni spirituali dei non credenti, degli indifferenti, di quanti si accostano o si riaccostano al Vangelo, di coloro che cercano alimento per il loro impegno cristiano”.
Inoltre, invito le consorelle ausiliarie diocesane, a ricordare e a recuperare gli appunti dell’incontro con Mons. Renato Corti (al tempo vice presidente della CEI per l’Italia Settentrionale) che il 17-12-2001 tenne a Seveso proprio per presentare al nostro Istituto tale documento programmatico della CEI illustrandoci le prospettive del cammino della Chiesa italiana verso una pastorale di missione.
A questo punto, viene spontaneo far emergere dal cuore un rispettoso ringraziamento al Magistero dei Vescovi Italiani per le indicazioni pastorali date alle nostre Chiese, notando una lungimiranza nella lettura della situazione ecclesiale non indifferente! Infatti, proprio ora, i padri sinodali nella espressione delle proposizioni finali che riguardano l’intera Chiesa universale , giungono alle medesime considerazioni e urgenze.
E non da ultimo, non solo per onestà intellettuale ma per una obbedienza al cammino di Chiesa che è chiesto, occorre riconsiderare il magistero del cardinale Tettamanzi che dal percorso pastorale Mi Sarete Testimoni in poi, ha sollecitato la nostra Chiesa Diocesana alle stesse urgenze e nei diversificati aspetti sopra enunciati. Per aiutare la memoria, si può attingere al sito diocesano sotto il nome dell’Arcivescovo emerito, e rivedere tutto il percorso teologico-spirituale-pastorale indicato a ogni singola comunità locale.
In questa luce, è utile la “rilettura” fatta dall’attuale Arcivescovo card. Scola nella lettera pastorale Alla scoperta del Dio vicino, pp. 15-18 n.3 Eredi di un patrimonio inestimabile.
Come non leggere una sollecitazione dello Spirito Santo nell’azione evangelizzatrice della Chiesa universale, diocesana e locale?
Maria Grazia Rasia
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