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n. 23: Santità e nuovi evangelizzatori

PROPOSIZIONE 23: SANTITÀ E NUOVI EVANGELIZZATORI
La chiamata universale alla santità è costitutiva della Nuova Evangelizzazione, che vede i santi come modelli efficaci della varietà e forme in cui questa vocazione può essere realizzata. Ciò che è comune nelle diverse storie della santità, è la sequela di Cristo che si esprime in una vita di fede attiva nella carità che è una proclamazione privilegiata del Vangelo.
Noi riconosciamo in Maria un modello di santità che si manifesta negli atti di amore, che vanno fino al dono supremo di se stesso. La santità è una parte importante di ogni impegno evangelizzatore per colui che evangelizza e per il bene di coloro che sono evangelizzati.

Il contesto di emergenza educativa in cui ci troviamo dà ancora più forza alle parole di Paolo VI: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni. (…) E’ dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità” (EN n. 41).
Qualsiasi progetto di nuova evangelizzazione, qualsiasi progetto di annuncio e di trasmissione della fede non può prescindere da questa necessità: avere uomini e donne che con la loro condotta di vita danno forza all’impegno evangelizzatore che vivono. La chiamata alla missione deriva di per sé dalla chiamata alla santità. Ogni evangelizzatore è autenticamente tale solo se si impegna nella vita della santità: “La santità deve dirsi un presupposto fondamentale e una condizione del tutto insostituibile perché si compia la missione di salvezza della Chiesa” (Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 17).

Non basta rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e coordinare meglio le forze ecclesiali, né esplorare con maggior acutezza le basi bibliche e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo “ardore di santità” fra gli evangelizzatore e in tutta la comunità cristiana.
Del resto lo slancio missionario delle prime comunità cristiane insegna. Nonostante la scarsezza dei mezzi di trasporto e comunicazione di allora, l’annunzio evangelico raggiunge in breve tempo i confini del mondo. E si trattava della religione di un Uomo morto in croce, “scandalo per gli ebrei e stoltezza per i gentili” (1 Cor 1,23)! Alla base di tale dinamismo missionario c’era la santità dei primi cristiani e delle prime comunità.
L’evangelizzatore è un “contemplativo in azione”. Egli trova risposta ai problemi nella luce della parola di Dio e nella preghiera personale e comunitaria. Se non si è contemplativi, non si può annunziare Cristo in modo credibile.
L’evangelizzatore è il testimone per eccellenza dell’esperienza di Dio e deve poter dire come gli apostoli: “ Ciò che noi abbiamo contemplato, ossia il Verbo della vita …, noi lo annunziamo a voi” (1 Gv1,1-3).
L’evangelizzatore è l’uomo delle beatitudini. Gesù istruisce i Dodici prima di mandarli a evangelizzare, indicando loro le vie della missione: povertà, mitezza, accettazione delle sofferenze e persecuzioni, desiderio di giustizia e di pace, carità, cioè proprio le beatitudini, attuate nella vita apostolica (Mt 5,1-12). Solo vivendo le beatitudini l’evangelizzatore sperimenta e dimostra concretamente che il regno di Dio è già venuto ed egli lo ha accolto.
Inoltre la caratteristica che emerge in modo chiaro nella vita di chi evangelizza è la gioia interiore che viene dalla fede. In un mondo angosciato e oppresso da tanti problemi, che tende al pessimismo, l’annunziatore della buona novella deve essere un uomo o una donna che hanno trovato in Cristo la vera speranza.

Consapevoli del bisogno di senso dell’uomo di oggi, teniamo “fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2), vogliamo custodire nella memoria e nei cuori come un bene prezioso i tesori di sapienza e i moniti accumulati nei cinquant’anni trascorsi dal grande evento del Concilio Vaticano II, nei vent’anni dalla promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Tutto questo ci fa avvertire l’urgenza di rinnovare e approfondire la nostra collaborazione alla missione di Cristo. L’amore di Cristo ci spinge ad annunciare la speranza a tutti i fratelli e sorelle che incontriamo: Cristo è risorto, la morte è vinta, e vi sono ancora migliaia di uomini che accettano di morire per testimoniare la verità della risurrezione di Cristo.
La chiamata alla conversione (ndr proposizione 22) e l’eloquenza della santità sono un invito chiaro rivoltoci nel metterci a servizio della missione dell’Inviato del Padre, assumendo per intero la vocazione battesimale.

Maria Grazia Rasia

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