QUARESIMA: La situazione è occasione/3 - "Ecce homo!", un Dio destabilizzato e destabilizzante
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Il racconto di Gesù al Getzemani mi ha sempre fortemente impressionato, fin dagli inizi della mia “nascita” alla fede (l’esperienza ha rappresentato davvero per me una “ri-nascita”), che ha poi coinciso con l’inizio della mia ricerca vocazionale.
Cosa mi colpiva allora? Mi accorgo che ancora oggi, questa narrazione - che insieme mi affascinava e un po’ mi spaventava - “parla” alla mia vita, nel quotidiano dipanarsi della missione affidatami come “donna della Risurrezione”.
La scoperta di Gesù come l’unico “senso” per me plausibile e, in un certo modo “esauriente”, della vita - della mia vita personale e della vita dell’umanità intera - si è da subito accompagnata al mio incontro con Lui come l’ “Ecce Homo!”.
Non avrei mai accolto un Dio disincarnato, lontano, (solo) Trascendente: non mi interessava e non mi interessa. E credo non interessi neppure agli uomini e alle donne che incontro, alle donne e agli uomini di oggi.
Il racconto di Gesù al Getzemani (soprattutto nella versione di Marco) mette in luce in modo davvero “unico” la sua vera, palpabile umanità; ne segnala tutta l’umana fatica a “consegnarsi” ad un Dio che gli è Padre, e lo è a titolo altrettanto “unico”.
Fatica a “consegnarsi” là dove l’amore disinteressato e “fino alla fine” non ha davvero altre aspettative, altri “risultati” apparentemente sperabili, al di fuori di sé stesso, del dono incondizionato di sè.
Quante persone incontro che “lottano” – come Gesù – tra un confidenziale “Abbà… tutto è possibile a te… liberami!” e “… però non ciò che io voglio ma ciò che vuoi Tu!”. E capisco che solo un dono di grazia può suscitare un abbandono fiducioso nelle mani di un Padre che si “sa” (anche se non lo si “sente”) vicino e partecipe.
Sentimenti forti e annichilenti come l’angoscia, il disorientamento e una profonda tristezza dell’anima hanno “abitato” anche in Gesù: Lui, il Figlio, se ne è lasciato attraversare, avvertendone tutto il potenziale devastante, che lo ha prostrato a terra, in un estremo e umanissimo atto di supplica e di “resa”.
Nessuno presente, nessuno con Lui, nessuno ce l’ha fatta. Affetti profondi legavano i discepoli a Gesù, al punto da spendere parole il cui senso suona così: “Darò la mia vita per te, con te…” e il cui esito – percepibile anche nel sonno di “fuga” - suggerisce: “sì ma… non così: così non capisco… avrebbe dovuto andare diversamente…”.
Oltre all’umanissima paura della morte, probabilmente in Gesù “pesa” ancor più l’incomprensione, la non accettazione dei discepoli di quanto sta per “compiersi”: “Non così…”.
Il risultato non cambia: la solitudine più totale vinta solo dall’unica “resa” che salva: l’abbandono fiducioso al disegno d’amore del Padre.
Solo allora l’irrequietezza di Gesù – che va e viene dai tre discepoli che aveva voluto vicini in quest’ “ora” e che già l’hanno “abbandonato” – si placa.
Solo allora, ancora una volta, come quando gli stessi gli avevano chiesto: “Insegnaci a pregare!” e Lui li aveva coinvolti nella sua preghiera all’Abbà, Gesù rivolge ai tre l’invito ad “entrare” nella sua supplica: “Pregate per non cadere in tentazione”.
Mi commuove sempre vedere come tante persone incontrate trovano la forza di portare pesi enormi, spesso in solitudine, facendo loro – anche senza saperlo – l’atteggiamento di Gesù di fronte al Padre in quest’ “ora”.
Segno che davvero solo l’Amore è credibile.
Mitzi Mari
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