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1 - LA (STRA)ORDINARIA ATTESA di identità

WhatsApp Image 2021 10 22 at 14.17.34Selma è una studentessa della Facoltà di Comunicazione multimediale. Ho potuto conoscerla grazie al progetto di rete fra Licei “Prendersi cura del futuro”. Uno stile virtuoso di protagonismo giovanile voluta durante il lockdown per pandemia, allo scopo di generare diverse azioni di resistenza intraprese in favore del cambiamento auspicato da Francesco: “non si può restare uguali!”. Fra le iniziative emerse da qui vi è un appuntamento in collaborazione con l’Osservatorio Giuridico dei diritti dei Migranti di Como. 
Selma stessa ci racconta il suo sogno:
Sono nata in Marocco e sono venuta in Italia all’età di circa due anni. Il mio percorso di rapporto fra la mia cultura di origine e quella italiana è stato sofferto. Mi sono trovata spesso, soprattutto durante la mia infanzia a chiedermi quale fosse la mia identità: quella che vivevo in casa o quella con gli altri ragazzi? Vivo un conflitto fra culture con tante sfumature, contraddizioni, aspetti belli e terribili. Mi sono domandata se fosse possibile tenere insieme le caratteristiche di questi due mondi chiamati a convivere in me.
La Dichiarazione Universale dei diritti umani con il concetto di “cittadinanza primaria” spinge a un superamento dei confini. Ancora oggi però tale percorso è contrastato dal rafforzamento di visioni ristrette. Selma, qual è la tua attesa?

Sento di essere italiana ma amo la mia cultura di origine. Non ho una cittadinanza italiana e dunque non mi sento riconosciuta. Amo la politica italiana e vorrei poter cambiare tante cose. Il fatto di non poter esercitare la mia cittadinanza come gli altri è per me motivo di sofferenza. So che lo Ius Culturae non sembra una questione urgente per il periodo che viviamo ma per me, che ho desiderio di migliorare questo Paese, si tratta di un nodo sul quale vorrei si facesse di tutto perché ci sia una maggiore giustizia in futuro.
Il rapporto difficile con la mia cultura è legato a forme di sottomissione che ho dovuto vivere nella mia infanzia e credo che nessun bambino debba sentire di valere meno semplicemente perché nato in una diversa parte del mondo o per le sue differenti abitudini. 
Quello che spero e quello per cui voglio lottare è che ogni persona possa avere il diritto di conservare le sue diverse culture senza vergognarsi di ciò che è. Mi piacerebbe non dovermi più recare frequentemente a Milano presso il Consolato marocchino allo scopo di ottenere la cittadinanza, mi piacerebbe non essere quella diversa. Mi terrorizza però l’idea che un giorno qualcuno possa dirmi: “non sei italiana, torna a casa tua”.

Selma, cosa ti aiuta a vivere con speranza questa attesa di una identità, in nome della comune umanità?
Credo dovrò vivere ancora per molto tempo senza cittadinanza italiana: sarà necessario farne richiesta, dovranno passare degli anni e poi dovrò trovarmi un lavoro. Sono condizioni che allungheranno l’aspettativa.
Al Liceo ho però sperimentato anche una grande sensibilità. I giovani sono curiosi sulle diverse culture, comprensivi e sensibili ai bisogni altrui. Con alcuni compagni condivido l’esperienza del volontariato per insegnare l’Italiano a chi è appena arrivato qui. 
Sono proprio i miei coetanei che, conoscendo la pena delle donne italiane per giungere solo nel 1946 al diritto di voto, mi chiedono sbalorditi come sia possibile che proprio io non possa votare. Sanno bene, infatti, che leggo i giornali, mi interesso dell’attualità, manifesto un forte interesse alla vita politica, studio con impegno per giungere ad assumere ruoli di responsabilitàÈ anche grazie a loro che coltivo il desiderio, un giorno, di poter lavorare per la comunità Europea. 

Il nostro cuore si apra
a tutti i popoli e le nazioni della terra,
per stringere legami di unità, 
di progetti comuni, di speranze condivise.

Silvia Meroni
Pastorale scolastica. Liceo Parini, Seregno


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