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Le domande nascono, incalzanti, l’una dopo l’altra: “Signore, perché non ascolti il lamento di chi ti ama, di chi soffre e chiede aiuto? Perché non agisci subito, secondo le necessità di chi ti supplica?
La morte è l'ultima parola o è l'ultima speranza? O forse siamo noi che non capiamo l'amore del Padre?
Questi e altri interrogativi riempiono il cuore davanti a Gesù che, alla notizia della malattia dell’amico Lazzaro, non si precipita da lui ma si ferma per due giorni e lo lascia morire.
Tra un pensiero e l’altro, mi appare l’immagine di
un affresco di Giotto che si trova nella Cappella degli Scrovegni a Padova, datato 1303-1305: un’opera dai colori vivaci, delicata e commovente che esprime tutta la drammaticità di questo brano evangelico. Gesù, altero e bellissimo, emerge dal gruppo degli altri personaggi, regale nel portamento e nel gesto, come Colui di cui sarà scritto: "questi è il Re dei Giudei”.
Il movimento della scena, che raccoglie in un’unica immagine alcune sequenze dello stesso miracolo, non parla di morte ma è chiaro preludio di risveglio.
Il primo risveglio dal sonno avviene con Marta e Maria -quest’ultima inizialmente bloccata in casa- le quali, sapendo dell'arrivo di Gesù, escono dal loro villaggio e gli corrono incontro prima del suo ingresso a Betania. Giotto rappresenta le due donne nell’atto di una prostrazione umile e profonda che, senza parole, proclama Gesù come il Signore della Vita.
Uscire fuori per correre incontro Gesù è uscire dalla presunzione di bastare a se stessi, è lasciare le certezze che tengono inchiodati a una vita scontata e orientata alla morte come fine di tutto. Spesso chiediamo a Dio che ci salvi dal dolore, dalle tenebre che offuscano la nostra vita e lo sentiamo assente: “Se uno cammina di giorno non inciampa perché vede la Luce... ma se cammina di notte la Luce non è in Lui": è il momento della prova, in cui l’uomo si lascia avvolgere dalle tenebre. Marta e Maria cercano la Luce e incontrano Gesù, "Si, o Signore io credo che Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente." Credere in Lui è già vivere oltre la morte, è giungere alla vita piena!
Gesù arriva davanti alla tomba di Lazzaro e di fronte a tanto dolore è turbato e piange per la morte dell'amico e soprattutto per l’azione del Male che dà alla morte il potere di stendere angoscia, tristezza e non-senso su ogni respiro di vita.
Ed è qui che, con autorevolezza davanti alla tomba di Lazzaro, Gesù fa togliere la pietra che chiude il sepolcro. Di questa pietra, nell’affresco, si vede l’ingombro e si percepisce tutto il peso: un peso rimosso che segna la separazione tra la morte e la vita, così che la Luce irrompe nelle tenebre e Lazzaro è chiamato fuori dal sepolcro.
La prospettiva di una morte per la vita toglie la paura di un’esistenza senza speranza e senza senso: "Liberatelo dalle bende" è l'ordine di Gesù che chiede di lasciare nel sepolcro i segni di morte. Nel dipinto di Giotto è un discepolo che compie questo gesto, sorreggendo e aiutando Lazzaro. La tradizione identifica Simon Pietro in questo discepolo ed è bello cogliere in questo gesto l’esperienza di una Chiesa che si fa vicina e accogliente verso i fratelli piegati e oppressi dalle difficoltà.
Dietro Gesù, Giotto presenta un gruppo di discepoli, decisi a non abbandonarlo. Quasi al centro della scena si distinguono alcune persone agitate, stupite, meravigliate e anche incredule.
"Alcuni credettero... altri se ne andarono dai farisei...”
Sempre il Vangelo fa venire alla luce chi è in cerca della luce e crede, mentre acceca chi crede di vedere e sceglie di rimanere nelle tenebre.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Salmo 22,1-4
Graziana Calafà
Parrocchia SS. Pietro e Paolo - Desio