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n. 35: Liturgia

PROPOSIZIONE 35: LITURGIA
La degna celebrazione della santa liturgia, il dono più prezioso di Dio per noi, è la fonte della più alta espressione della nostra vita in Cristo (SC n. 10). E’, perciò, la prima e più potente espressione della nuova evangelizzazione. Attraverso la sacra liturgia Dio desidera manifestare la bellezza incomparabile del suo amore incommensurabile ed incessante per noi, e noi, da parte nostra, desideriamo offrire ciò che è più bello nella nostra adorazione di Dio in risposta al suo dono. Nello scambio meraviglioso della sacra liturgia, in cui il cielo scende sulla terra, la salvezza è a portata di mano, suscitando il pentimento e la conversione del cuore (Mt 4,17; Mc 1,15).
L’evangelizzazione nella Chiesa richiede una liturgia che elevi il cuore degli uomini e delle donne verso Dio. La liturgia non è solo un’azione umana ma un incontro con Dio che conduce alla contemplazione e all’amicizia profonda con Dio. In questo senso, la liturgia della Chiesa è la migliore scuola della fede.

Come già affermato in precedenza (ndr proposizioni nn. 22-23), la conversione originaria riguarda chi annuncia il Vangelo prima che il destinatario di tale annuncio. Ed è vero che uno dei luoghi decisivi dove si realizza la conversione permanente dei cristiani è la liturgia. Non a caso i padri sinodali indicano la liturgia come “la prima e più potente espressione della Nuova Evangelizzazione”. Di fatto, senza liturgia, è impossibile qualsiasi forma di evangelizzazione e di maturazione della fede, da più punti di vista.
In primo luogo il suo compito è di “continuare Gesù” e non è in alcun modo paragonabile ad altre forme di mediazione dello Stesso proprie della organizzazione ecclesiastica. La liturgia contiene la parte di gran lunga più importante del deposito della fede e non è eccessivo affermare che essa è lo strumento più nobile del Magistero ordinario della Chiesa.
In secondo luogo, come affermava Odo Casel, uno dei padri della riforma liturgica del XX secolo, la liturgia vincola i cristiani all’oggettivo, essendo il culto il “qui e ora” dell’azione salvifica di Cristo attraverso un’espressione simbolica riconoscibile da tutti.
Queste due prospettive hanno trovato piena maturazione nella Sacrosanctum Concilium (1963).
Il cammino postconciliare della Chiesa italiana su Evangelizzazione e Sacramenti (1973-1980), ha dato buoni frutti nel chiarire come celebrazione e annuncio sono tra loro inscindibili, ma non ha evitato del tutto una certa strumentalizzazione della liturgia, piegandola ad una ulteriore via di catechesi oppure a sbocco finale della stessa. Vi è su quest’ultima posizione un “errore antropocentrico” che fa dipendere la liturgia da esigenze pastorali contingenti, pensandola di volta in volta o a servizio della trasmissione di determinati contenuti o come forma efficace di socializzazione ecclesiale.
Invece affermiamo che l’incontro personale di Gesù Cristo nella Chiesa avviene principalmente attraverso la Liturgia, in specie la celebrazione eucaristica, luogo di rigenerazione della fede anche e soprattutto in senso missionario.
La proposizione 35 che stiamo rileggendo insiste sul tema della bellezza (tra l’altro sviluppato in una intera proposizione, la n. 20), fa capire come la liturgia sia evangelizzatrice soprattutto nella sua capacità di attrazione. L’evangelizzazione, fin dagli inizi, non avviene solo mediante l’annuncio verbale, ma, come testimoniano gli Atti degli Apostoli, attraverso una forma di vita comunitaria che ha il suo vertice nell’azione liturgica dello spezzare il pane. Il sommario di At 2,42-47 si conclude riconoscendo che “il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (2,47). Parlando al clero della diocesi di Roma, il 22 febbraio 2007, Benedetto XVI afferma che “se celebriamo l’eucaristia come ascolto prima, poi come risposta (rispettando così il primato di Dio), la celebriamo bene. E la gente viene attirata attraverso la nostra preghiera comune nel novero dei figli di Dio”.

Alcune questioni su cui riflettere.
La nota pastorale della CEI Evangelizzazione e Sacramenti (12/7/1973) ha affermato: “Alla base di tutto, deve essere con insistenza ribadito il primato dell’evangelizzazione, che solleciti una salutare inquietudine di fronte alle mutate condizioni e quindi alle carenze evidenti di certi metodi del passato”. Se ci si limitasse ancora a concentrare l’attenzione quasi unicamente sulla prassi sacramentale, si finirebbe col ridurre il Sacramento, avulso dal suo vitale contesto di fede, a un puro gesto di pratica esteriore, senza riflessi concreti e fecondi sulla vita. Solo una convinzione profonda di tutti gli operatori della pastorale sulla priorità dell’evangelizzazione riuscirà a superare abitudini e stanchezze e a imprimere una spinta vigorosa apostolica della Chiesa in tutti i suoi settori (n. 61). Parola e Sacramento formano un tutt’uno, sono due aspetti di un unico processo salvifico (n.27), perché come insegna il Vaticano II, il legame tra l’evangelizzazione e i sacramenti “trova la sua radice nella stessa dimensione sacramentale propria dell’economia salvifica”( n.32).
Un’altra questione riguarda la “qualità evangelizzatrice” della liturgia. Come può la Liturgia essere di aiuto all’evangelizzazione, trattandosi di un linguaggio che è di sua natura simbolico-rituale? Quale è la peculiarità della liturgia in ordine alla evangelizzazione? Già questi interrogativi invitano a ricercare una risposta anche in una migliore precisazione del significato stesso della parola “evangelizzazione”, che di per sé non è solo comunicazione o informazione su Dio o un messaggio che viene trasmesso a nome di Dio, ma implica un coinvolgimento della vita di colui che viene evangelizzato così come quella dell’evangelizzatore.
L’apostolo Giovanni in 1Gv 1,1-3, ci parla dell’esperienza di fede che coinvolge l’uomo in tutte le dimensioni della sua vita, e rimanda all’esperienza sensibile: udire, vedere, toccare, contemplare. Sono i verbi che descrivono ciò che l’uomo sperimenta nella celebrazione liturgica. La dinamica della fede non può essere ridotta all’accoglienza di alcuni contenuti veritativi, ma comporta sempre l’aprire la porta del cuore a Cristo. Infatti “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus Caritas est n.1).
Vivere la liturgia, in particolare l’Eucaristia, come reale incontro con Cristo, riscalda il cuore (Lc 24,32) e aiuta a capire che la fede autentica è pervasa da amore per il Signore, così come egli lo ha descritto additando “il primo di tutti i comandamenti” (Mc 12,28-31).
La celebrazione liturgica riscatta e purifica l’amore dell’uomo verso Dio dal rischio del soggettivismo illusorio, che pretende di amare Dio con modalità che l’uomo pensa siano le migliore o le più rispondenti ai suoi propri bisogni. Invece, il valore oggettivo del rito, che l’uomo non si inventa volta per volta, mette in atto la fede nella modalità voluta da Gesù. Nel rito liturgico infatti l’uomo agisce non come primo attore, ma come destinatario dell’azione di Dio che è il grande Protagonista; nel rito l’uomo è attivamente presente, ma a sua volta viene trasformato da ciò che celebra.
Elemento fondamentale, primario, del dialogo con Dio nella liturgia, è la concordanza tra ciò che diciamo con le labbra e ciò che portiamo nel cuore.
Così si diventa capaci di essere annunciatori del Vangelo. La celebrazione liturgica, infatti, è evangelizzante anche perché conduce alla missione secondo l’incisiva affermazione del beato Giovanni Paolo II: “La missione è un problema di fede” (RM n. 11), e la fede è nutrita nella vita liturgica.

A questo punto come non ricordare le parole del card. Carlo Maria Martini nella Lettera pastorale Ripartiamo da Dio (1995) proprio sul ben celebrare, o all’impulso dato dal card. Dionigi Tettamanzi nel Percorso Pastorale Mi sarete Testimoni (2003) circa “l’alta qualità celebrativa”? Senza dimenticare la proposta formativa che il Servizio Liturgico ha proposto agli operatori pastorali nelle Quattro giorni liturgiche sul tema delle varie parti della Messa, e come lo stesso Arcivescovo Tettamanzi sollecitò le singole comunità cristiane, in particolare nell’espressione dei consigli pastorali, a un lavoro di riflessione e consapevolezza proprio sul tema delle celebrazioni festive della Eucaristia, sia in termini quantitativi che qualitativi.

Concretamente, è constatato dalla realtà dei fatti che, la modalità e le attenzioni attuate da una comunità cristiana nel celebrare la liturgia, dicono, divengono lo “specchio veritativo”, di come la medesima comunità vive le altre dimensioni della vita cristiana come l’ascolto della parola, la carità, la testimonianza, la vocazione e la missione.


Maria Grazia Rasia

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