FINO AI CONFINI/2: assistente spirituale in carcere
ANDATE!
Mi incammino avendo come meta gli uomini e le donne che si trovano nella Casa Circondariale Francesco Di Cataldo (S. Vittore) con un piccolo zaino dove riporre l’essenziale del mio andare: un quaderno, qualche caramella, pacchetti di fazzoletti e la Bibbia.
Il quaderno dove prendere appunti dei nomi di chi incontro per i loro bisogni (una telefonata, una preghiera, il testo di una canzone…). Là dove la persona rischia di divenire un numero di matricola, dove è conosciuta solo per il cognome, sentirsi chiamati per nome è sentirsi riconosciuti e accolti! Su questo quaderno non scrivo le storie delle persone che incontro: troppo preziose perché siano affidate a una pagina, lascio che queste storie si fermino per un po’ in me. E per poi riaffidarle al Signore: Abbi cura di lui, di lei (Lc 10,35); sì perché so che io posso fasciare, versare un po’ di olio su vite ferite, poi portare a Lui che conosce nel profondo.
Le caramelle perché "piccoli gesti… qui scopriamo la bellezza e l’importanza delle piccole cose" è la frase che spesso chi è recluso da più tempo dice al nuovo arrivato. Frase che racchiude il mistero della vita: ciò che è piccolo può contenere l’immensità, parole che raccontano il movimento dell’incarnazione Dio che si svuota e si fa piccolo (Fil 2,7). A volte ci sono mani ancora avide che si tuffano nel sacchetto e prendono a manciate, ma il più delle volte ci sono mani rispettose “una basta, grazie!”; “ne prendo una anche per la mia concellina. Grazie!”. E così si inizia a dare valore a ciò che spesso è dato per scontato, a dare valore alla propria vita.
Nelle tasche, discretamente ma sempre pronti, tengo i fazzoletti. Sì perché spesso nei colloqui, così come nei momenti di preghiera o catechesi, le parole sono accompagnate dalle lacrime, sono pianti per gli affetti che si comprendono sciupati: “Nulla vale l’aver vicino le persone care, solo ora lo capisco”. A volte le lacrime dicono l’inizio della presa di consapevolezza per il male fatto, altre volte divengono voce di una stanchezza interiore o di un bisogno di vita. Lacrime che nella maggior parte della giornata vengono trattenute: in carcere anche le proprie emozioni non vanno troppo mostrate. Quante volte mi sono trovata a dire: “Qui puoi piangere, queste tue lacrime non vanno perse perché il Signore le raccoglie nel suo otre” (Sal 56,9).
La Bibbia, che immancabilmente si apre a ogni incontro: l’ascolto della storia personale fa emergere (nella persona stessa o in me) le parole di un Salmo, un brano di Vangelo, o un passo dell’Antico Testamento: insieme leggiamo il brano lo commentiamo, lo teniamo caro; qui nasce una nuova speranza: “Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, lode al nostro Dio. Sul rotolo del libro di me è scritto” (Sal 39,4a.8b). Ed è inizio di una risurrezione!
SEGUIMI!
Posso arrivare in questa periferia, dove le persone sono sfigurate dal male, dove incontro un’umanità a “brandelli”, ma anche persone che vi lavorano (lavorare in carcere è, in qualche modo, un essere chiusi dietro le sbarre), solo perché c’è un “Seguimi!”: c’è un Signore che mi conduce qui, che mi precede e qui mi attende. Vi entro facendo spazio a Lui, perché possa usare di me per raggiungere le persone; chiedo a Lui la grazia di riconoscerLo e di lasciarmi evangelizzare.
Chicca
Ausiliaria Diocesana a Milano
Assistente spirituale in carcere
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