La «solitudine femminile» di una quarantenne non in fuga
«Ma dove sono finite le quarantenni?» si chiede Armando Matteo (leggi la recensione). Non tutte le quarantenni sono in fuga dalla Chiesa. In questo spazio proponiamo la testimonianza e riflessione di Chiara, 36 anni, sposata, tecnico di laboratorio e, da sempre, impegnata nella sua comunità cristiana.
“E’ l’esperienza della gioia, quella che sta al centro della fede cristiana. Una gioia che nasce dalla possibilità di realizzare un rapporto con il mondo, con gli altri e soprattutto con se stessi riconciliato e rappacificato. Libero. “ Dalla gioia inizia e continua il mio cammino nella Chiesa! Sono fortunata, ho imparato dalla Parola trasmessa dalla mamma nel catechismo e ho apprezzato la carità concreta del papà che si è sempre prodigato per gli altri. Vivo concretamente la mia fede in una realtà di Comunità Pastorale molto variegata e ancora appassionata anche se a volte troppo nostalgica di tempi passati. Sempre più si sente il bisogno di una stretta collaborazione tra religiosi e laici dato il numero sempre più esiguo di presbiteri e religiose ma anche di laici impegnati; si avverte una sorta di “carenza di personale”! Il libro di Armando Matteo si chiede il perché di una certa disaffezione alla Chiesa delle quarantenni di oggi.
Io come quarantenne non sono in fuga dalla Chiesa e proprio nel mio rimanere avverto una certa “solitudine femminile”. Conosco donne che non riescono a partecipare alla Messa perché i papà non stanno da soli coi figli; donne che non escono la sera perché i mariti hanno le loro attività di svago; donne che lavorano fuori e dentro casa senza sosta senza avere tempo per loro stesse; donne che lasciano impegni parrocchiali perché altrimenti il marito “chiede il divorzio”. È solo colpa loro? Scappano da una Chiesa tutta al maschile che ha voluto tenere per sé il potere? Non lo so; volenti o no le donne, spesso, non hanno più lo spazio e il tempo di una volta per dedicarsi al servizio in parrocchia e in oratorio o non hanno più a fianco uomini capaci o desiderosi di condividere le fatiche della famiglia per dare spazio anche agli altri e forse anche a Gesù.
Le ragazze di oggi, adolescenti e 18enni devono poter avere educatrici e figure femminili adulte che le guidino, le accolgano e le aprano alla vita della Chiesa nella sequela di Gesù. Nella mia esperienza in ambito educativo di pastorale giovanile si è sempre respirata una suddivisione implicita di compiti ben precisi tra sacerdote ed educatrici; l’uno si occupa della preghiera, le altre della realizzazione di un evento, dell’organizzazione di una vacanza… perché non scambiarsi un po’ il posto? Perché meravigliarsi se a tenere la Scuola della Parola è una donna? Perché aver da ridire di una professoressa ventiduenne di religione? E ancora, quante consacrate che lavorano nelle nostre parrocchie possono prendersi incarichi di formazione, di organizzazione o realizzazione di progetti educativi senza essere solo appendici o segretarie di sacerdoti e seminaristi? Le donne fuggono dalla Chiesa per scelta o per sopravvivenza? Non ne condividono più i valori o non hanno modo di vivere la quotidianità di una comunità? Le donne cercano la loro indipendenza non lasciando più spazio e tempo a Gesù o alla realtà della Chiesa? Penso che la risposta faccia la differenza e apra alla speranza di una fede ancora viva, trasmessa nonostante tutto e ancora capace di dare valore aggiunto all’uomo di oggi.
La Chiesa ha il diritto e il dovere di tornare all’essenziale della fede incarnata nella persona di Gesù. Scritti come quelli di Armando Matteo devono poter aprire nuovi cantieri di lavoro per ritrovare la sintonia e la sinergia tra la Chiesa istituzionale e il mondo femminile. L’alleanza con le donne è fondamentale, che siano laiche o consacrate, per un arricchimento dato dalla loro carica umana, dalla loro formazione e soprattutto dall’insostituibile sensibilità.
Chiara
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