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n.17: Preamboli della fede e teologia della credibilità

PROPOSIZIONE 17: PREAMBOLI DELLA FEDE E TEOLOGIA DELLA CREDIBILITÀ
Nel contesto contemporaneo di una cultura globale, molti dubbi ed ostacoli causano un esteso scetticismo ed introducono nuovi paradigmi di pensiero e vita. E’ di importanza capitale, per una Nuova evangelizzazione, sottolineare il ruolo dei preamboli della fede. E’ necessario non solo mostrare che la fede non si oppone alla ragione, ma anche di mettere in evidenza un numero di verità e realtà che appartengono ad una antropologia corretta, illuminata dalla ragione naturale.
Tra questi, c’è il valore della Legge naturale e le conseguenze che ha per la società intera. Le nozioni di “Legge naturale”e “natura umana” sono capaci di dimostrazioni razionali, sia a livello accademico che popolare. Tale sviluppo ed impresa intellettuale aiuteranno il dialogo tra fedeli cristiani e persone di buona volontà, aprendo un cammino per riconoscere l’esistenza di un Dio Creatore e il messaggio di Gesù Cristo Redentore.
I padri sinodali domandano ai teologi di sviluppare una nuova apologetica del pensiero cristiano, ossia una teologia della credibilità adeguata ad una nuova evangelizzazione.
Il Sinodo lancia un appello ai teologi di accettare e rispondere alle sfide intellettuali della Nuova Evangelizzazione partecipando alla missione della Chiesa di proclamare a tutti il Vangelo di Cristo.

“La dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali e non per un cieco impulso interno e per mera coazione esterna. Ma tale dignità l’uomo la ottiene quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine con scelta libera del bene e si procura da sé e con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti” (GS n. 17).
Nel suo tendere a Dio, a colui che “solo è buono”, l’uomo deve liberamente compiere il bene ed evitare il male. Ma per questo l’uomo deve distinguere il bene dal male. Ed è quanto avviene, innanzitutto, grazie alla luce della ragione naturale, riflesso nell’uomo dello splendore di Dio. Per Legge naturale s’intende “ciò non in rapporto alla natura degli essere irrazionali, ma perché la ragione che promulga tale legge è propria della natura umana” (cfr CCC n. 1955).
Il beato Giovanni Paolo II ha affrontato questa tematica in due Lettere encicliche, nella Veritatis Splendor (1993) e nella Fides et Ratio (1998), ma si deve indubbiamente a Benedetto XVI un approfondimento più puntuale e allargato sulla tematica trattata da questa proposizione n. 17.
Infatti, uno dei tratti più peculiari, nella testimonianza di Papa Benedetto XVI, è proprio il suo contributo originale al mondo contemporaneo. Un mondo segnato in maniera pervasiva dal dramma del nichilismo realizzato, nel quale diviene dapprima problematico, poi confuso e infine bloccato il nesso vitale tra l’io e il senso della realtà o tra la ragione e la verità. Questo tratto peculiare consiste nella riproposizione instancabile di una domanda decisiva da parte del Papa: se cioè l’uomo sia ancora capace di conoscere il Mistero dell’essere e disponibile alla possibilità che questo Mistero si faccia riconoscere in una forma concreta, reale, storica. Si tratta di una domanda completamente archiviata dalla cultura contemporanea, per cui la conoscenza è ridotta ad un processo di misurazione o ad una tecnica di gestione del mondo, e il Mistero viene confinato al di là del reale oppure semplicemente si frange e si dissolve nelle nostre interpretazioni (vedi discorso Incontro con i rappresentanti della scienza, Regensburg, 2006). E la verità delle cose o è un prodotto in nostro potere o semplicemente non è.
Qui è il “deserto” che Papa Benedetto XVI vuole attraversare e condividere come un “pellegrino”, come ha detto all’inizio dell’Anno della Fede.
Egli ha fatto vedere, partendo dalla sua personale esperienza, che la ragione dell’uomo non si accontenta mai di tale soluzione, perché è “intessuta” di quella domanda di realtà, come un bisogno infinito di essere (il quaerere Deum di cui ha parlato nel grande discorso parigino ai Bernardins nel 2008).
Quest’attesa, questa possibilità della nostra ragione è il segno che essa consiste in un rapporto con il Mistero presente. Un rapporto che non è dato una volta per tutte, ma rinasce, o può rinascere di continuo, a partire da un fatto che riaccade: l’incontro – attraverso cose, eventi, persone – con il Logos divino che mi crea e mi vuole in un gesto “amoroso”, in cui è affermato il valore irriducibile e irripetibile di me.
Come il Papa disse al Convegno Ecclesiale di Verona nel 2006, qui “viene capovolta la tendere a dare il primato all’irrazionale”, per cui anche la nostra intelligenza e la nostra libertà sarebbero solo il prodotto di un “caso” necessario e la nostra stessa ricerca sarebbe un’attesa inutile e vana. Solo se la Razionalità non è un’idea iperurania o una costruzione mentale, ma una Persona vivente, Gesù Cristo, acquista rilievo e forza la ragione di ogni persona, nella stupefacente corrispondenza tra la nostra capacità di conoscere il mondo ed il carattere intelligibile, sensato, della realtà che ci viene incontro.
Per dirla con il suo amato Agostino, l’esperienza della verità si fonda sull’essere “presi”, conquistati ogni volta da essa: e il segno di questa esperienza è il “gusto” la “gioia” che essa fa nascere in noi: gaudium de veritate. Solo arrivando al vero, seguendo il suo “tocco”, possiamo scoprire affettivamente la portata incommensurabile del nostro “io”; ma anche la verità non rimane astrattamente in sé, al di fuori di questo rapporto: essa ha bisogno proprio di me, di ciascuno di noi, per accadere sempre di nuovo!

E’ la sfida che i padri sinodali lanciano anche ai teologi perché nei loro studi promuovano una nuova apologetica del pensiero cristiano.

Maria Grazia R.

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n 12: I documenti del Concilio Vaticano II

PROPOSIZIONE 12: I DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II
 
I padri sinodali riconoscono che l’insegnamento del Vaticano II è uno strumento vitale per trasmettere la fede nel contesto della nuova evangelizzazione. Allo stesso tempo, ritengono che i documenti del Concilio devono essere letti ed interpretati correttamente. Pertanto, vogliono manifestare la loro adesione al pensiero del nostro Santo Padre, papa Benedetto XVI, che ha indicato il principio ermeneutico della riforma nella continuità per essere in grado di scoprire in questi testi lo spirito autentico del Concilio. “C’è l’ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino … Ma ovunque questa interpretazione è stata l’orientamento che ha guidato la recezione del Concilio, è cresciuta una nuova vita e sono maturati frutti nuovi” (Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2005). In questo modo, sarà possibile rispondere alla necessità di rinnovamento richiesto dal mondo moderno e, allo stesso tempo, preservare fedelmente la natura della Chiesa e della sua missione.
 
Il Concilio Vaticano II e la Nuova Evangelizzazione sono temi ricorrenti nel Magistero sia di Papa Paolo VI, del Beato Giovanni Paolo II e anche di Benedetto XVI. Quest’ultimo, nell’indire l’Anno della Fede, ha auspicato che tale evento possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari, in sintonia con i suoi predecessori. I documenti del Concilio Vaticano II sono una guida sicura per affrontare il tema della trasmissione della fede nella nuova evangelizzazione, in una Chiesa attenta alle sfide del mondo attuale, ma saldamente ancorata nella sua viva Tradizione, della quale fa parte appunto lo stesso Vaticano II.
Nell’ultimo incontro con il clero Romano lo scorso 15 febbraio, Papa Benedetto ha parlato della sua esperienza diretta al Concilio Vaticano II, affermando:
“… c’era il Concilio dei Padri – il vero Concilio -, ma c’era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio dei media, non quello dei Padri. E mentre il Concilio dei Padri si realizzava all’interno della fede, era un Concilio della fede che cerca l’intellectus, che cerca di comprendersi e cerca di comprendere i segni di Dio in quel momento, che cerca di rispondere alla sfida di Dio in quel momento e di trovare nella Parola di Dio la parola per oggi e domani, mentre tutto il Concilio – come ho detto – si muoveva all’interno della fede, come fides qaerens intellectum, il Concilio dei giornalisti non si è realizzato, naturalmente, all’interno della fede, ma all’interno delle categorie dei media di oggi, cioè fuori dalla fede, con un’ermeneutica diversa. Era un’ermeneutica politica: per i media, il Concilio era una lotta politica, una lotta di potere tra diverse correnti nella Chiesa. Era ovvio che i media prendessero posizione per quella parte che a loro appariva quella più confacente con il loro mondo. C’erano quelli che cercavano la decentralizzazione della Chiesa, il potere per i Vescovi e poi, tramite la parola “Popolo di Dio”, il potere del popolo, dei laici. C’era questa triplice questione: il potere del Papa, poi trasferito al potere dei Vescovi e al potere di tutti, sovranità popolare. Naturalmente, per loro era questa la parte da provare, da promulgare, da favorire. E così anche per la liturgia: non interessava la liturgia come atto della fede, ma come una cosa dove si fanno cose comprensibili, una cosa di attività della comunità, una cosa profana … Queste traduzioni, banalizzazioni dell’idea del Concilio, sono state virulente nella prassi dell’applicazione della Riforma liturgica; esse erano nate in una visione del Concilio al di fuori della sua propria chiave, della fede. E così, anche nella questione della Scrittura: la Scrittura è un libro, storico, da trattare storicamente e nient’altro e così via.
Sappiamo come questo Concilio dei media fosse accessibile a tutti. Quindi, questo era quello dominante, più efficiente, ed ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata … e il vero Concilio ha avuto difficoltà a concretizzarsi, a realizzarsi; il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale. Ma la forza reale del Concilio era presente e, man mano, si realizza sempre più e diventa la vera forza che poi è anche vera riforma, vero rinnovamento della Chiesa. Mi sembra che, 50 anni dopo il Concilio, vediamo come questo Concilio virtuale si rompa, si perda, e appare il vero Concilio con tutta la sua forza spirituale. Ed è nostro compito, proprio in questo Anno della Fede, cominciando da questo Anno della Fede, lavorare perché il vero Concilio, con la sua forza dello Spirito Santo, si realizzi e sia realmente rinnovata la Chiesa. Speriamo che il Signore ci aiuti. Io, ritirato con la mia preghiera, sarò sempre vicino con voi, e insieme andiamo avanti con il Signore, nella certezza: Vince il Signore! Grazie!”
L’intero intervento di Papa Benedetto XVI può essere scaricato dal sito vatican.va
 
Come non ricordare che “l’ermeneutica politica” si è di nuovo ripresentata nei giorni della Sede Vacante e fino al Conclave dello scorso mese di Marzo, con i media che quotidianamente indicavano tra i cardinali, lotte, contrapposizioni, liste di papabili tendenti a “curiali o no” a seconda dei gusti, il tutto come una scalata al potere per diventare papa? 
Subito, 2 giorni dopo l’elezione (16.03.2013), è arrivata puntuale l’esortazione di Papa Francesco all’udienza ai giornalisti di tutto il mondo chiedendo di evitare un’ottica “politica” sulla comunità dei credenti (cfr Avvenire, 17 marzo 2013).
 
 M.Grazia Rasia
 
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n. 11: La nuova evangelizzazione e la lettura orante della Sacra Scrittura

PROPOSIZIONE 11: LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE E LA LETTURA ORANTE DELLA SACRA SCRITTURA
 
Dio ha comunicato se stesso nel Verbo incarnatosi. Questa Parola divina, ascoltata e celebrata nella Liturgia della Chiesa, in particolare nell’Eucaristia, rafforza interiormente i fedeli e li rende capaci di una autentica testimonianza evangelica nella loro vita quotidiana. I padri sinodali desiderano che la parola divina “diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale” (Verbum Domini, 1).
La porta alla Sacra Scrittura deve essere aperta a tutti i credenti. Nel contesto della nuova Evangelizzazione, ogni opportunità per lo studio della Sacra Scrittura deve essere messa a disposizione. La Scrittura deve permeare omelie, catechesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede.
Considerando la necessità di familiarità con la Parola di Dio per la nuova evangelizzazione e per la crescita spirituale dei fedeli, il Sinodo incoraggia  diocesi, parrocchie e piccole comunità cristiane a continuare uno studio serio della Bibbia e la Lectio divina, la lettura orante delle Scritture (Dei Verbum, 21-22).
 
La Parola di Dio sta alla base di ogni autentica spiritualità cristiana. La costituzione conciliare Dei Verbum al n. 25 afferma: “Tutti i fedeli … si accostino volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia, che è impregnata di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi, che con l’approvazione e a cura dei Pastori della Chiesa, lodevolmente oggi  si diffondono ovunque. Si ricordino però che la lettura  della Sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera”.
La riflessione conciliare intendeva riprendere la grande tradizione patristica che ha sempre raccomandato di accostare la Scrittura nel dialogo con Dio. Come dice S. Agostino: “La tua preghiera è la tua parola rivolta a Dio. Quando leggi è Dio che ti parla; quando preghi sei tu che parli a Dio”.
Tuttavia si deve evitare il rischio di un approccio individualistico, tenendo presente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella Verità nel nostro cammino verso Dio. E’ una Parola che si rivolge a ciascuno personalmente, ma è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò il testo sacro deve essere sempre accostato nella comunione ecclesiale. In effetti, “è molto importante la lettura comunitaria, perché il soggetto vivente della Sacra Scrittura è il Popolo di Dio, la Chiesa… la Scrittura non appartiene al passato, perché il suo soggetto, il Popolo di Dio ispirato da Dio stesso, è sempre lo stesso, e quindi la Parola è sempre viva nel soggetto vivente. Perciò è importante leggere la sacra Scrittura e sentire la sacra Scrittura nella comunione della Chiesa, cioè con tutti i grandi testimoni di questa Parola, cominciando dai primi Padri fino ai Santi di oggi, fino al Magistero di oggi” (Benedetto XVI, Discorso alunni Seminario Romano Maggiore, 19.02.2007).
Possiamo dunque sintetizzare in questo modo: dalla celebrazione del Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica ha riscoperto che questa trasmissione della fede intesa come incontro con Cristo, si attua mediante la Sacra Scrittura e la Tradizione viva della Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo.
E’ così che la Chiesa viene continuamente rigenerata dallo Spirito. In questo modo le nuove generazioni vengono sostenute nel loro cammino di incontro con Cristo nel suo corpo, che trova la sua piena espressione nella celebrazione della Eucaristia. La centralità di questa funzione di trasmissione della fede è stata riletta ed evidenziata nelle ultime due Assemblee sinodali sull’Eucaristia e in particolare in quella dedicata alla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. In queste due Assemblee la Chiesa è stata invitata a riflettere e a riprendere piena coscienza della dinamica profonda che ne sostiene l’identità: la Chiesa trasmette la fede che essa stessa vive, celebra, professa, testimonia. A queste due Assemblee sinodali hanno fatto seguito le due Esortazioni Apostoliche di Papa Benedetto XVI Sacramentum caritatis e Verbum Domini, che ne hanno confermato e rilanciato le indicazioni e gli orientamenti pastorali per la Chiesa intera.
 
M.Grazia Rasia
 
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n. 10: Diritto a proclamare e ascoltare il Vangelo

PROPOSIZIONE 10: DIRITTO A PROCLAMARE E ASCOLTARE IL VANGELO
 
Proclamare la Buona novella e la persona di Gesù è un obbligo per ogni cristiano, fondato nel Vangelo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19).
Allo stesso tempo, è un diritto inalienabile di ogni persona, qualunque sia la sua religione o la sua assenza di religione, di essere in grado di conoscere Gesù Cristo e il Vangelo. Questa proclamazione, data con integrità, deve essere proposta nel rispetto totale di ogni persona, senza alcuna forma di proselitismo.
 
Lascio volentieri il commento al Beato Giovanni Paolo II espresso nella Lettera Enciclica Redemptoris Missio ai nn 7 e 39, circa la permanente validità del mandato missionario (07.12.1990):
 
L’urgenza dell’attività missionaria emerge dalla radicale novità di vita, portata da Cristo e vissuta dai suoi discepoli. Questa nuova vita è dono di Dio, e all’uomo è richiesto di accoglierlo e di svilupparlo, se vuole realizzarsi secondo la sua vocazione integrale in conformità a Cristo. 
Nel mondo moderno c’è la tendenza a ridurre l’uomo alla sola dimensione orizzontale. Ma che cosa diventa l’uomo senza apertura verso l’Assoluto? La risposta sta nell’esperienza di ogni uomo, ma è anche iscritta nella storia dell’umanità col sangue versato in nome di ideologie e da regimi politici, che hanno voluto costruire un’umanità nuova senza Dio (Giovanni XXIII, Mater e Magistra, parte IV).
Del resto a quanti sono preoccupati di salvare la libertà di coscienza, risponde il Concilio Vaticano II: “La persona umana ha il diritto alla libertà religiosa …” (Dignitatis Humanae, 2).
L’annunzio e la testimonianza di Cristo, quando sono fatti in modo rispettoso delle coscienze, non violano la libertà. La fede esige la libera adesione dell’uomo, ma deve essere proposta,  poiché “le moltitudini hanno il diritto di conoscere la ricchezza del mistero di Cristo, nel quale crediamo che tutta l’umanità può trovare, in una pienezza insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su Dio, sull’uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità … Per questo la chiesa mantiene il suo slancio missionario e vuole, altresì, intensificarlo nel nostro momento storico” (EN 53).
Bisogna dire anche, però, sempre col Concilio, che “a motivo della loro dignità tutti gli esseri umani, in quanto sono persone, dotati cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. Essi sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e a ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze” (DH, 2)…
 
Tutte le forme dell’attività missionaria sono contrassegnate dalla consapevolezza di promuovere la libertà dell’uomo annunciando a lui Gesù Cristo. La Chiesa deve essere fedele a Cristo, di cui è il corpo e continua la sua missione … 
La Chiesa ha il dovere di fare di tutto per svolgere la sua missione nel mondo e raggiungere tutti i popoli, e ne ha anche il diritto, che le è dato da Dio per l’attuazione del suo piano. La libertà religiosa, talvolta ancora limitata o coartata, è la premessa e la garanzia di tutte le libertà che assicurano il bene comune delle persone e dei popoli. E’ da auspicare che l’autentica libertà religiosa sia concessa a tutti in ogni luogo, ed a questo scopo la Chiesa si adopera nei vari paesi, specie in quelli a maggioranza cattolica, dove essa ha un maggiore influsso. Ma non si tratta di un problema della religione di maggioranza o di minoranza, bensì di un diritto inalienabile di ogni persona umana.
D’altra parte, la Chiesa si rivolge all’uomo nel pieno rispetto della sua libertà (AG 5; LG 8): la missione non coarta la libertà, ma piuttosto la favorisce. La Chiesa propone, non impone nulla: rispetta le persone e le culture, e si ferma davanti al sacrario della coscienza. A coloro che si oppongono con i più vari pretesti all’attività missionaria la chiesa ripete: Aprite le porte a Cristo!
 
M.Grazia Rasia
 
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n. 9: La nuova evangelizzazione e la proclamazione iniziale

PROPOSIZIONE 9: LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE E LA PROCLAMAZIONE INIZIALE
 
Il  fondamento di ogni proclamazione, la dimensione kerygmatica, la Buona novella, mette in risalto l’annuncio esplicito della salvezza. “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici” (1 Cor 15,3-5).
La “prima proclamazione” è il luogo dove il kerygma, il messaggio della salvezza del mistero pasquale di Gesù Cristo, è proclamato con grande potenza spirituale, tale da provocare il pentimento del peccato, la conversione dei cuori e una decisione di fede.
Allo stesso tempo, ci deve essere continuità tra la prima proclamazione e la catechesi che ci istruisce nel deposito della fede. Noi consideriamo avere un Piano Pastorale di Proclamazione iniziale, che insegna un incontro vivo con Gesù Cristo. Questo documento pastorale fornirebbe i primi elementi di un processo catechetico, permettendo il suo inserimento nella vita delle comunità parrocchiali. I padri sinodali propongono che vengano scritte linee guida della proclamazione iniziale del kerygma.
Questo compendio includerebbe:
-insegnamento sistematico sul kerygma nella Scrittura e nella Tradizione della Chiesa cattolica;
-insegnamenti e citazioni di santi missionari e martiri nella nostra storia cattolica, che ci aiuterebbero nelle nostre sfide pastorali di oggi;
-qualità e linee guida per la formazione di evangelizzatori cattolici oggi.
 
La Nuova Evangelizzazione ha dato ulteriore risalto ad una sfida decisamente presente nella situazione attuale: è necessario che si ponga mano a un primo annuncio del Vangelo, perché molti praticanti non dimostrano un’autentica e concreta adesione alla persona di Gesù; molti battezzati vivono come se Cristo non esistesse; cresce il numero di coloro che devono completare l’iniziazione cristiana; cresce il numero delle persone non battezzate. Si tratta di una difficoltà con cui la Chiesa si sta misurando da tempo, e che quindi non soltanto è stata denunciata, ma ha conosciuto già alcuni strumenti di risposta. Già Paolo VI, prendendo atto di questa sfida, ha posto la Chiesa di fronte all’urgenza di trovare nuove strade per la proposta della fede cristiana (EN n. 51). E’ nato così lo strumento del “primo annuncio” (cfr RM n. 44 di Giovanni Paolo II), inteso come proposta esplicita, meglio di proclamazione, del contenuto fondamentale della nostra fede. 
Assunto a pieno titolo nel lavoro di riprogettazione in atto degli itinerari di introduzione alla fede, il primo annuncio si dirige ai non credenti, a quelli che, di fatto, vivono nell’indifferenza religiosa. Esso ha la funzione di annunciare il Vangelo e la conversione, in genere, a coloro che tuttora non conoscono Gesù Cristo. La catechesi, distinta dal primo annuncio del Vangelo, promuove e fa maturare questa conversione iniziale, educando alla fede il convertito e incorporandolo nella comunità cristiana. 
I Vescovi Italiani hanno ripreso più volte questo tema e lo propongono come attenzione pastorale rinnovata al fine di un ripensamento degli itinerari di educazione alla fede. A riguardo la CEI ha dedicato numerosi interventi e indicazioni  vedi negli orientamenti per il decennio 2000-2010 Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, ne Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia, ancora nell’anniversario del 40° del Documento Base il testo Annuncio e catechesi per la Vita cristiana, e un intero documento Questa è la nostra fede dedicato al tema del Primo Annuncio. 
Il precedente Sinodo sulla Catechesi (da cui è derivata l’esortazione apostolica Catechesi Tradendae di Giovanni Paolo II) ha rilanciato due strumenti fondamentali per la trasmissione della fede: la catechesi e il catecumenato. La professione di fede ricevuta dalla Chiesa (traditio), germinando e crescendo durante il percorso catechistico, è restituita (redditio), arricchita con i valori delle differenti culture. Il rilancio di questi due strumenti – catechesi e catecumenato – deve servire a dare corpo a quella che è stata designata con il termine di “pedagogia della fede” (vedi CT n. 58). La sorpresa del primo annuncio non sarà reale fino a quando non troveremo una adeguata “pedagogia di primo annuncio”, che dovrà essere al contempo tutta kerygmatica e tutta antropologica: da qui la richiesta dei padri sinodali di un Piano Pastorale per la Proclamazione iniziale.
Nell’attuale contesto culturale, nel quale Dio non appare agli uomini di oggi né evidente né necessario, per annunciare il vangelo dobbiamo risalire alle formule all’evento pasquale che ha generato la Chiesa, ricuperando il linguaggio tipico del kerygma, cioè il linguaggio missionario che noi abbiamo dimenticato!
 
M.Grazia Rasia
 

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