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Ad una sola voce - Preghiera per l'umanità

 WhatsApp Image 2020 05 14 at 13.23.49«E oggi tutti noi, fratelli e sorelle di ogni tradizione religiosa, preghiamo. Giornata di digiuno, di preghiera, di penitenza; ognuno di noi prega, ogni comunità prega, le confessioni religiose pregano, pregano Dio, tutti fratelli, uniti nella fratellanza che ci accomuna in questo momento di dolore e tragedia». Nell'omelia di stamattina, 14 maggio 2020 Papa Francesco ricorda la giornata promossa dall'Alto Comitato della Fratellanza Umana, comitato composto da capi religiosi che si ispirano al documento firmato ad Abu Dhabi da Francesco e dal grande imam di al-Azhar, Al Tayyeb. L'Alto Comitato propone di rivolgersi a Dio ad una sola voce perché preservi l'umanità e la aiuti a superare la pandemia.
 

Ci uniamo anche noi alla giornata di preghiera e di digiuno perché, davanti al male che provoca dolore, solitudine, povertà di molti, ci accorgiamo di non poterci salvare da soli o di avere il controllo su tutto e ci riscopriamo fragili e indifesi, bisognosi gli uni dell'altri e di creare relazioni di solidarietà oltre ogni confine e barriera che troppo velocemente costruiamo fra noi. Ecco che la preghiera e la carità uniscono, donano speranza, allargano il cuore, ci fanno sentire fratelli in umanità, tutti sulla stessa barca. L'invito è per tutti i credenti di ogni confessione religiosa e per tutti gli uomini e le donne di buona volontà che desiderano camminare insieme pur nelle nostre diversità, costruire una cultura di convivenza e di pace universale, e raccogliere il grido di sofferenza dell'umanità e affidarlo, custodendo nel cuore la certezza che non rimane inascoltato.

 
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GIORNATA DELLA VITA CONSACRATA: dedicate all'edificazione del popolo di Dio

40Noi consacrate abbiamo ricevuto qualcosa in meno sia dei preti -che hanno il Sacramento dell'Ordine- che degli sposi -uniti dal Sacramento del Matrimonio- perché siamo segnate semplicemente nel Sacramento del Battesimo.
Infatti, la Parola con cui il Signore ci ha chiamato ad appartenere a Lui in modo speciale e il SÌ che liberamente gli abbiamo risposto, ci porta a vivere in pienezza e senz'altro la vocazione battesimale, secondo tre consigli che Gesù stesso ha raccomandato: sono i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza nei quali ci siamo impegnate per sempre facendo voto, non solo a parole ma con tutta la nostra vita.
Fare voto per sempre di castità, povertà e obbedienza significa cercare ogni giorno di corrispondere all'amore infinito di Dio, lasciandosi custodire da Lui nel dono della libertà, il più prezioso tra tutti quelli che Lui ha fatto e che continuamente rinnova ad ogni uomo e ad ogni donna!
Professare la castità nella nostra vita di consacrazione a Dio significa cercare di custodire il nostro cuore libero da legami personali tenuti esclusivamente per noi stesse e da legami di dipendenza e di dominio verso gli altri.
Vivere la povertà significa custodire il nostro cuore libero da quei legami che ci rendono schiave delle cose desiderate, ottenute con o senza fatica, possedute, trattenute per noi stesse e non condivise.
Vivere l'obbedienza significa custodire il nostro cuore libero dal nostro egoismo e da quelle preoccupazioni personali che ci rendono tristi, ansiose o arrabbiate...

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Donne consacrate diocesane a confronto sulla carità pastorale

F023E641 3918 4D5D BE71 D258C9074435«Carità pastorale, sorgente e forma della nostra vita»: questo è il tema del terzo incontro annuale delle diocesane. Sabato 18 gennaio, a un mese dall’incoraggiante incontro con papa Francesco, le Ausiliarie diocesane di Milano, le Cooperatrici di Treviso e Vicenza e le Collaboratrici apostoliche di Padova, si sono incontrate a Desenzano, insieme ai loro assistenti ecclesiastici, per una riflessione comune sulla loro vocazione di consacrazione per la Chiesa diocesana. 
La giornata è stata aperta dalla relazione di don Andrea Toniolo, docente della facoltà teologica del Triveneto. Il suo contributo, centrato sul carisma delle «Diocesane» in relazione alle sfide della Chiesa locale, ha sottolineato il cambio di prospettiva avviato dal Vaticano II, rispetto al modo di intendere la pastorale: fare pastorale significa discernere come realizzare la Chiesa in un luogo e in un tempo. In questa prospettiva, in virtù della comune vocazione battesimale di tutto il popolo di Dio, la carità pastorale va pensata come partecipazione all’opera di Dio nella storia e come dono di sé, a immagine di Cristo buon pastore, superando un’ottica funzionale e clericale, ancora molto diffusa nei nostri contesti. Don Andrea ha mostrato alcune sfide ecclesiali dell’oggi da raccogliere da parte delle «Diocesane», che assumono la pastorale come propria missione: l’impegno a favorire il discernimento come stile delle comunità cristiane per maturare nella sinodalità; la testimonianza di dedizione pastorale da parte delle donne e infine la questione del riconoscimento anche «formale» di professionalità e competenze. L’intervento di don Andrea ha suscitato un ricco confronto nei gruppi, in cui sono emerse visioni comuni del servizio pastorale, pur nella differenza della realtà delle Chiese locali.
F9912055 BCE9 4D3E 8356 318E6C9840F0Nel pomeriggio la riflessione si è ulteriormente arricchita con una tavola rotonda, in dialogo con Monsignor Franco Agnesi, vicario generale di Milano, don Leopoldo Voltan, vicario per la pastorale di Padova e don Giuliano Brugnotto, assistente delle Cooperatrici di Treviso. A loro è stato chiesto di delineare, in base alla loro esperienza e conoscenza, le risorse e le criticità che questa realtà di consacrazione femminile incontra. L’incontro si è concluso con il desiderio di trovare modalità per condividere le riflessioni elaborate, perché possano diventare patrimonio anche delle Chiese locali e contributo all’elaborazione del modo di essere Chiesa.

Francesca Scotton, Cooperatrice pastorale diocesana di Treviso


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Integrare i saperi della testa, del cuore e delle mani (Christus Vivit, 222)

BA6E4239 AF9A 4563 BC5D FD5B3CCF70D8Vivo “l’università” da quasi trent’anni (mai l’avrei immaginato trent’anni fa): prima studente di Matematica presso l’Università degli Studi di Milano, poi – divenuta Ausiliaria – incaricata di pastorale universitaria per dieci anni presso l’Università Bocconi, poi di nuovo studente di Teologia Biblica presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma e ora docente di Teologia presso l’università Cattolica del Sacro Cuore e la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. In questo passare da un’università all’altra, ho avuto la possibilità di vivere l’Università in diversi ruoli e attraverso differenti punti di vista, passando da quello dello studente, che pensa di ricevere delle nozioni e si trova destinatario del dono di una conoscenza che supera le singole nozioni, abbraccia la vita e amplia l’orizzonte dei propri progetti, a quello del docente che spera – nonostante l’immenso numero degli studenti che si trova in aula – di riuscire a ad entrare in relazione con ciascuno per poter trasmettere non solo nozioni, ma lo “spirito”  di quanto sta insegnando, di “ispirare”, in modo che lo studente impari davvero, non solo ripeta. Spesso l’università viene vista dalla gente comune (o, ahimè, presentata da politici e media) come luogo accademico chiuso, ripiegato su se stesso e separato dalla realtà, in cui ci si occupa di un sapere teorico, lontano dalla vita della gente, detenuto da privilegiati che costituiscono una sorta di casta. Credo che questa idea sia molto lontana dal vero. 

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VORREI RISORGERE DALLE MIE FERITE/3

vorrei risorgere smallPubblichiamo un articolo raccolto da Riccardo Maccioni

Intervista ad Anna Deodato

Avvenire 23/02/2019

Leggi le "Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili"

TROPPI SILENZI SULLE SUORE VITTIME DI ABUSI

Parla Anna Deodato che svolge un servizio di ascolto e di accompagnamento a Milano: «L'esito del summit dipende dalla capacità di ascolto dei cuori feriti»

Cambiano le storie e i percorsi ma un dato emerge da tutte le testimonianze: l’abuso è un’esperienza di morte. Lascia ferite profonde, difficili se non impossibili da guarire. Si tratta di ritornare a vivere, di ridare un senso alla propria esistenza, di ricominciare ad accettarsi, superando innanzitutto la vergogna degli innocenti. Quella che ti fa sentire responsabile di qualcosa che non hai commesso. E poi c’è bisogno di coraggio, tanto coraggio, per denunciare. A dispetto dei silenzi complici di chi ti circonda. No, non è facile. Soprattutto se sei una donna e la violenza si consuma in un luogo che dovrebbe ispirarsi alla logica del Vangelo. L’ha sottolineato con chiarezza il Papa di ritorno dal viaggio ad Abu Dhabi, richiamando la deriva culturale, purtroppo tuttora presente in molti Paesi, per cui la donna, sono parole sue, «è ancora considerata di seconda classe».

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CARLO MARIA MARTINI E GLI ANNI DI PIOMBO

 

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