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n.26: Parrocchie ed altre realtà ecclesiali

PROPOSIZIONE 26: PARROCCHIE ED ALTRE REALTÀ ECCLESIALI
I Vescovi riuniti in Sinodo affermano che la parrocchia continua ad essere la prima presenza della Chiesa nei quartieri, il luogo e lo strumento della vita cristiana, che è capace di offrire delle opportunità per il dialogo tra gli uomini, per ascoltare ed annunciare la Parola di Dio, per una catechesi organica, per una formazione alla carità, per preghiera ed adorazione e celebrazioni eucaristiche gioiose. Inoltre, i padri sinodali vogliono incoraggiare le parrocchie a scoprire vie per orientare se stesse ad una maggiore enfasi sull’evangelizzazione, che potrebbe includere missioni parrocchiali, dei programmi di rinnovamento delle parrocchie e dei ritiri parrocchiali. La presenza e l’azione evangelizzatrice di associazioni, movimenti e di altre realtà ecclesiastiche sono degli utili stimoli per la realizzazione di questa conversione pastorale. Le parrocchie, come le realtà ecclesiali tradizionali e nuove, sono chiamate a rendere visibili la comunione della Chiesa particolare riunita attorno al Vescovo.
Al fine di portare a tutti la Buona novella di Gesù, come richiesto dalla Nuova Evangelizzazione, tutte le parrocchie e le loro piccole comunità dovrebbero essere delle cellule viventi, dei luoghi per promuovere l’incontro personale e comunitario con Cristo, per sperimentare la ricchezza della liturgia, per dare una formazione cristiana iniziale e permanente, e per educare tutti i fedeli in fraternità e carità specialmente verso i poveri.

Innanzitutto bisogna credere nel valore della parrocchia ancora oggi. Non solo perché i Vescovi la ripropongono con convinzione, ma perché la sua presenza rimane una potenzialità di prima grandezza per la vita della Chiesa. “La parrocchia, in particolare, - essi scrivono - vicina al vissuto delle persone e agli ambienti di vita, rappresenta la comunità educante più completa in ordine alla fede. Mediante l’evangelizzazione e la catechesi, la liturgia e la preghiera, la vita di comunione nella carità, essa offre gli elementi essenziali del cammino del credente verso la pienezza della vita in Cristo”. (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, n 39).
La varietà delle forme di azione pastorale, che annovera per esempio le attività specifiche di associazioni o movimenti ecclesiali e le varie iniziative della pastorale d’ambiente, non deve lasciare aperti equivoci sul primato della parrocchia per la vita della Chiesa. Essa rimane l’avamposto della natura misterica e sacramentale della Chiesa nella sua apertura universale. Non è il luogo di appartenenze elettive, ma lo spazio dell’accoglienza senza riserve e dell’invito senza esclusioni di sorta, salvo per coloro che non sono disposti a indossare l’abito nuziale (cfr Mt 22,12), cioè a intraprendere un cammino serio di conversione e di crescita nell’esperienza del credere.
La parrocchia ha una responsabilità il cui tradimento più grave è rappresentato dalla sfiducia e dallo scoraggiamento di chi vi opera, a cominciare dai presbiteri. E’ una mancanza di fede lasciarsi impressionare dalle difficoltà che comporta la pastorale parrocchiale. Bisogna credere fermamente nel potere di ciò che trattiamo: la Parola di Dio, i Sacramenti, la preghiera, la comunità: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20). In realtà tale fiducia e coraggio rappresenta anche la prima opera educativa. Lascia ben poca traccia una istruzione catechistica – pur imprescindibile – trasmessa in un contesto spiritualmente povero, privo di coerenza e di entusiasmo, anche se non bisogna omettere che vale anche l’inverso.
La vita si trasmette con la vita, e la fede con la fede. Scrive Romano Guardini: “La vita viene destata e accesa solo dalla vita. La più potente “forza di educazione” consiste nel fatto che io stesso in prima persona mi protendo in avanti e mi affatico a crescere … E’ proprio il fatto che io lotto per migliorarmi ciò che dà credibilità alla mia sollecitudine pedagogica per l’altro” (R. Guardini, La credibilità dell’educatore, in Persona e libertà. Saggi di fondazione della teoria pedagogica, La Scuola, Brescia, 1987, pp. 221-236).

Maria Grazia Rasia

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n.27: Educazione

PROPOSIZIONE 27: EDUCAZIONE
“Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20). L’educazione è una dimensione costitutiva dell’evangelizzazione. Proclamare Gesù Cristo risorto, è accompagnare tutti gli esseri umani nella loro storia personale, nel loro sviluppo e nella loro vocazione spirituale. L’educazione deve, allo stesso tempo, promuovere tutto quello che è vero, buono e bello che fa parte della persona umana, vale a dire, educare lo spirito e le emozioni ad apprezzare la realtà.
I bambini, gli adolescenti e i giovani hanno il diritto di essere evangelizzati ed educati. Le scuole ed università cattoliche rispondono in questo modo a questa esigenza. Le istituzioni pubbliche devono riconoscere e sostenere questo diritto.
Le scuole devono assistere le famiglie nell’introdurre i bambini nella bellezza della fede. Le scuole offrono una grande opportunità di trasmettere la fede o almeno di farla conoscere. I padri sinodali sono grati per il lavoro educativo svolto da migliaia di insegnanti, uomini e donne, nelle istituzioni educati che cattoliche dei cinque continenti.
A causa del ruolo singolare degli insegnanti, è importante che ricevano una formazione permanente nell’esercizio delle loro responsabilità. Le scuole devono essere libere di insegnare. Questa libertà è un diritto inalienabile.
Pertanto, al fine di assicurare che le nostre istituzioni siano agenti di evangelizzazione e non solo dei prodotti di evangelizzazione, il Sinodo:

  • incoraggia le istituzioni educative cattoliche a fare tutto il possibile per preservare la loro identità come istituzioni ecclesiastiche;
  • invita tutti gli insegnanti ad abbracciare la leadership che è in loro in quanto discepoli battezzati di Gesù, dando testimonianza attraverso la loro vocazione di insegnanti;
  • esorta le Chiese particolari, le famiglie religiose e tutti coloro che hanno responsabilità nelle istituzioni educative a facilitare la corresponsabilità dei laici, offrendo una formazione ed un accompagnamento adeguati a questo scopo.

In questo decennio pastorale, la Chiesa Italiana si trova a riflettere, vivere e lavorare, proprio sul tema educativo, nella molteplice prospettiva di forme e attenzioni quindi, nel commento alla presente proposizione, cerco di tener conto proprio della riflessione fin qui maturata e delle prospettive future.
Di per sé educazione ha soprattutto una connotazione antropologica, sociale e culturale. Non perché non esista una pedagogia religiosa o quella che viene chiamata educazione alla fede, ma perché queste sono applicazioni derivate rispetto al compito di annuncio e di predicazione, rispetto al cammino di conversione e di crescita nella fede verso la santità della vita.
A stretto rigor di termini, l’espressione “educazione alla fede” può suonare perfino equivoca, se dimentica che la fede è suscitata dallo Spirito del Risorto e comunicata pienamente con l'evento battesimale, e perciò accolta in una scelta consapevole di libertà; essa non può essere l’esito di un progetto pedagogico. Certo la fede ha bisogno di essere accompagnata e coltivata, può essere favorita o ostacolata, ma il soggetto proprio e principale anche della sua maturazione è divino, sebbene la libera accoglienza sia mediata ecclesialmente, cioè tramite la Parola, i Sacramenti, il servizio del ministero ordinato e la fraternità credente.
Possiamo, allora, parlare di educazione in riferimento alla fede nel senso del servizio ecclesiale con cui essa viene sostenuta e accompagnata nei membri della comunità e di quanti entrano in contatto con essa.
In tal caso, è tutta la comunità che educa e tutta la comunità che ha bisogno di essere educata (adulti e famiglie compresi! Vedi proposizione 28). Infatti, chi predica e celebra ha forse meno bisogno di coltivarsi rispetto a quelli che ascoltano e ricevono i Sacramenti? Niente affatto. Nella Chiesa tutti abbiamo bisogno di essere aiutati e tutti abbiamo il dovere di aiutare gli altri a credere. Tutti siamo aiutati con gli stessi strumenti - la Parola, i Sacramenti, la vita comunitaria - e tutti aiutiamo i fratelli; solo che questo aiuto non lo prestiamo gli uni gli altri alla stessa maniera né con la medesima efficacia. Infatti, solo il ministero ordinato ha il potere di compiere quelle azioni presidenziali e sacramentali che servono a coltivare la vita di grazia e a far crescere in essa, mentre a ogni fedele è affidata la responsabilità di testimoniare con la parola e con la vita quella fede che tiene viva in sé e vuole veder crescere in altri. Quanto all’efficacia, fatto salvo il primato della grazia di Dio e la sua potenza, essa è tanto maggiore quanto più grande è la santità di chi parla e agisce.

L’educazione diventa una forma di svolgimento della missione cristiana, propriamente là dove l’accompagnamento del cammino credente si incrocia con il processo di maturazione umana che porta un bambino, un ragazzo, un giovane a diventare adulto nella fede. Quando la proposta dell’annuncio cristiano deve essere assunto dentro il processo di formazione di una persona, lì l’educazione non può che essere anche accompagnamento pedagogicamente qualificato nella maturazione della fede. Si scopre così il significato unificante dell’accoglienza dell’esperienza credente. “In questo quadro – dicono gli orientamenti pastorali – si inserisce a pieno titolo la proposta educativa della comunità cristiana, il cui obiettivo fondamentale è promuovere lo sviluppo della persona nella sua totalità, in quanto soggetto in relazione, secondo la grandezza della vocazione dell’uomo e la presenza in lui di un germe divino” (CEI, Educare alla vita buona del vangelo, 15).
La fede non si aggiunge come un completamento o un abbellimento o un rivestimento rispetto a un’esperienza e a una visione della vita perseguite e realizzate indipendentemente da essa. Una cosa simile sarebbe inservibile e, in ogni caso, nulla avrebbe a che fare con la fede cristiana. Questa non è una forma di verniciatura religiosa su un’identità umana autonoma, bensì il principio di una nuova identità, di un nuovo modo di essere umani, di stare al mondo, di relazionarsi con se stessi, con gli altri, con l’universo intero e tutto ciò che esso contiene, e anche con Dio; il Dio di Gesù Cristo, infatti, è il Padre del crocifisso risorto nello Spirito Santo, e non semplicemente la variante religiosa di una astratta figura teistica. “La fede, infatti – sono ancora i Vescovi italiani a parlare – è radice di pienezza umana, amica della libertà, dell’intelligenza e dell’amore. Caratterizzata dalla fiducia nella ragione, l’educazione cristiana contribuisce alla crescita del corpo sociale e si offre come patrimonio per tutti, finalizzato al perseguimento del bene comune” (CEI, Educare alla vita buona del vangelo,15).

Per una più accurata riflessione/approfondimento sul tema della scuola/università rimando la lettura ai nn. 46-49 degli Orientamenti Pastorali sopra citati.


Maria Grazia Rasia

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n. 28: Catechesi degli adulti

PROPOSIZIONE 28: CATECHESI DEGLI ADULTI
Non si può parlare di Nuova Evangelizzazione se la catechesi degli adulti è inesistente, frammentata, debole o trascurata. Quando questi difetti sono presenti, il ministero pastorale affronta una sfida molto seria.
Le tappe e i livelli del catecumenato della Chiesa mostrano come, sul piano biblico, catechetico, spirituale e liturgico, la storia di una persona e il suo cammino di fede possono essere intesi come una vocazione attraverso la sua relazione con Dio (cfr EN n 18).
In tutto questo, il carattere pubblico della decisione di fede che prende il catecumeno, che cresce gradualmente nella comunità e nella diocesi, ha un impatto positivo su tutti i fedeli.

Con tutta verità possiamo affermare che l’ambito della catechesi degli adulti è pressoché “dimenticato”, oppure a volte, “temuto” perché vi è da curare un aspetto relazionale che ci porta a rapportarci con altri adulti. Tutt’al più, nelle comunità cristiane che manifestano un minimo di sensibilità circa la formazione degli adulti, raggiungiamo la categoria di “gruppo di ascolto” biblico, che sono però traducibili in espressioni di primo annuncio. Come detto il primo annuncio, sta a fondamento di un percorso di fede. Ma dopo aver accolto il primo annuncio, è necessario un secondo, e via così fino ad affermare l’indispensabilità di una formazione catechetica per adulti permanente. Permanente perché si è vivi! Ed è una particolarità della fede cristiana il saper “rispondere”, motivare, ogni aspetto della vita umana. Per fare questo, oltre a un costante riferimento biblico, è necessario curare il modo con cui ci si rapporta con Dio nella preghiera, principalmente nella espressione Liturgica, tener conto del Magistero, della Tradizione della Chiesa in tutti i suoi aspetti (vita della comunità,spiritualità, morale, caritativa, testimonianza, ecc.) perché una personalità adulta nella fede sia sostenuta e cammini verso la santità.
I padri sinodali si riferiscono al catecumenato, in quanto il modello catecumenale è il modello di ogni impostazione catechistica. La Chiesa antica iniziò a celebrare la traditio e la redditio del Simbolo di fede e del Padre nostro. Questa struttura è straordinariamente semplice ed efficace, perché rispondente alla verità: chi diviene credente impara a credere ciò che crede la Chiesa (Credo), riceve nella liturgia la grazia di essere figlio di Dio (Sacramenti), prega Dio perché è abilitato al dialogo con Lui (Padre Nostro).
Lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica si basa su tale schema quadripartito che la Tradizione cristiana ha elaborato nel corso dei secoli.
La quadripartizione catecumenale non è una semplice questione dei contenuti fondamentali della fede; essa esprime anche le dimensioni dell’esistenza cristiana. In questo modo determina le strutture portanti della catechesi. La catechesi illumina la fede, la celebrazione, la conversione, la preghiera personale e, conseguentemente, si concretizza in momenti formativi, celebrativi, di condivisione esistenziale e maturazione spirituale. Tale struttura quadripartita emerge, infine, con tutta evidenza a livello liturgico, nel momento del battesimo degli adulti. Chi viene battezzato, professa il Credo, inizia una nuova vita e prega con il Padre nostro.
Quali gli aspetti imprescindibili per impostare un itinerario di catechesi degli adulti, degno di questo nome?
Nel promuovere la catechesi degli adulti è indispensabile innanzitutto rendersi conto dell’identità propria degli adulti e delle loro attuali condizioni di vita. La catechesi degli adulti, infatti, va impostata, almeno in certa misura, a partire dalle persone a cui è diretta: prima sono le persone!
La vita degli adulti è contrassegnata da molteplici responsabilità: nel lavoro, nel campo economico, nelle relazioni personali e sociali. Singolare è la loro responsabilità affettiva ed effettiva nei confronti della propria famiglia. Gli adulti sono chiamati a svolgere ruoli diversi che li espongono inevitabilmente a tensioni e problemi. Ma nell’attuale contesto sociale, pluralista e sottoposto ad una accelerata trasformazione, gli adulti sperimentano anche la propria impreparazione e la sproporzione che passa tra le urgenze della famiglia e della società e l’inadeguatezza delle loro energie e capacità; avvertono la complessità crescente dei problemi odierni e degli stessi mondi vitali in cui sono inseriti.
Nei confronti del messaggio cristiano gli adulti manifestano atteggiamenti diversi: di rifiuto o di adesione, di indifferenza o di risveglio religioso, di tradizione tranquilla o di inquietudine, di chiusura in una visione funzionalistica della vita o di apertura alla dimensione misterica, di passività o di impegno ... Essi, di solito, avvertono la necessità di alcuni riferimenti essenziali a sfondo religioso; ma tali riferimenti appaiono per lo più isolati e staccati dalla vita quotidiana.
Occorre che la catechesi aiuti gli adulti a riscoprire un modo «significativo» di vivere la fede oggi, in stretto rapporto con le loro situazioni di vita e con le loro esigenze di crescita personale e di responsabilità sociale.
Per promuovere una corretta catechesi degli adulti è necessario essere attenti anche alla vera identità della catechesi, ai suoi compiti e al carattere adulto che bisogna garantirne con cura. Capita troppo spesso, infatti, che si intraprendano con gli adulti iniziative pastorali che non meritano il nome di vera catechesi, oppure che non tengono conto in forma adeguata delle esigenze e attese proprie degli adulti del nostro tempo. E questo è fonte di insoddisfazione e di delusione. Come è stato già segnalato in preparazione al Convegno nazionale dei catechisti del 1992, «insieme a molte iniziative valide e promettenti, ci sono pure troppe forme di catechesi degli adulti infantilizzanti e deludenti» (UCN, Adulti nella fede, testimoni di carità, 31). Perciò è necessario non perdere di vista le finalità e gli obiettivi di un’autentica opera di catechesi con gli adulti.
Quando si parla di finalità e di obiettivi, si intende chiarire il modello di cristiano da promuovere e il tipo di comunità ecclesiale da costruire attraverso l’opera formativa della catechesi. Da più parti viene chiesto di ripensare in termini nuovi, senza comprometterne l’autenticità, l’identità cristiana per gli adulti di oggi, in modo da offrire un modo più convincente e attraente di essere cristiano.
La Chiesa e la società oggi hanno bisogno di credenti veramente adulti, dalla fede personalizzata e matura:
- fede personalizzata: cioè sostenuta da una scelta personale, da un atto di conversione, e quindi non conformista o di pura tradizione o socialmente imposta. Oggi è necessario che l’adesione a Gesù Cristo sia sostenuta da una vera esperienza personale di fede e di vita cristiana, che stia alla base della propria scelta religiosa;
- fede matura: una fede che cresce verso l’ideale della maturità e che quindi presuppone le caratteristiche proprie dell’adulto maturo: conoscenza dei contenuti e dei fondamenti della fede, attinti prima di tutto dalla Bibbia (cf. Dei verbum, n. 21), autonomia nelle proprie convinzioni, equilibrio psicologico, senso critico costruttivo, partecipazione responsabile e coerenza operativa.
La Chiesa oggi ha bisogno di credenti adulti responsabili e attivi, anzitutto all’interno della comunità ecclesiale di appartenenza, capaci perciò di «fare la verità nella carità» e di promuovere così la formazione di comunità cristiane adulte. Si auspica infatti la presenza di credenti meno individualisti e meno passivi, uomini e donne che, lungi dall’essere semplice oggetto delle cure pastorali, abbiano un forte senso della Chiesa, si sentano identificati con la Chiesa, soggetti attivi in essa, e quindi promotori di un modello più comunionale di comunità ecclesiale.
La società oggi ha bisogno di credenti adulti impegnati e attivi nel mondo, presenti responsabilmente in essa. È un aspetto che troppo spesso fa difetto o viene sottovalutato. L’esperienza infatti insegna che troppo frequentemente la catechesi degli adulti non aiuta i cristiani ad acquistare una coscienza sociale e di impegno responsabile nel mondo. C’è il pericolo e la tendenza ad accontentarsi di credenti devoti ed entusiasti, generosi e disponibili, ma chiusi nella sfera del privato e nell’ambito intra-ecclesiale. La catechesi deve formare e spingere verso l’impegno, la collaborazione e la partecipazione responsabile, nelle opere sociali, nella vita del quartiere, nella sfera culturale e politica, nella solidarietà effettiva con i poveri e gli emarginati.
La Chiesa e la società oggi hanno bisogno di credenti adulti, dalla fede contagiosa, missionaria, capaci di «dire la fede» nel mondo di oggi. Pensiamo a cristiani che, lungi dal chiudersi nel proprio mondo privato o dal sentir paura e vergognarsi della propria fede di fronte agli altri, siano invece portati a testimoniarla con semplicità e coraggio e a rendere ragione delle proprie scelte religiose, convinti che la prima carità è il dono della verità (cf. Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 1). Non sono cose di poco conto: presuppongono una capacità acquisita di accettazione del pluralismo, di dialogo culturale, di armonica integrazione tra fede e vita. Il lavoro catechetico con gli adulti, a proposito dei contenuti, richiede di tenere presenti anche le esigenze del modo adulto di presentare e formulare il messaggio cristiano: per esempio, l’aggiornamento teologico e biblico, l’obiettività storica, il dialogo con la scienza e la cultura, il superamento delle fughe «spiritualistiche» o «orizzontalistiche».
Anche per ciò che concerne la metodologia, la catechesi degli adulti deve saper rispettare le esigenze proprie della maturità: il metodo laboratorio può venire incontro a questa attesa non derogabile.


Maria Grazia Rasia

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n. 29: Catechesi, catechisti e catechismo

PROPOSIZIONE 29: CATECHESI, CATECHISTI E CATECHISMO
Una buona catechesi è essenziale per la nuova evangelizzazione. Il Sinodo richiama l’attenzione sul servizio indispensabile che rendono i catechisti alle comunità ecclesiali ed esprime la sua profonda gratitudine per la loro dedizione. Tutti i catechisti, che sono allo stesso tempo evangelizzatori, devono essere ben preparati. Ogni sforzo deve essere fatto, in funzione delle possibilità della situazione locale, per offrire ai catechisti una solida formazione ecclesiale, cioè spirituale, biblica, dottrinale e pedagogica. La testimonianza personale della fede è di per sé una forma potente di catechesi.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica e il suo Compendio sono, anzitutto, una risorsa per l’insegnamento della fede e per sostenere gli adulti nella Chiesa nella loro missione di evangelizzazione e di catechesi.
Conforme alla lettera apostolica Ministeria quaedam di papa Paolo VI, le Conferenze episcopali hanno la possibilità di chiedere alla Santa Sede l’istituzione del ministero di catechista.

Penso sia urgente ribadire la necessità, nelle nostre comunità ecclesiali, di dare più posto e più importanza alla formazione dei catechisti, troppo spesso trascurata, sottovalutata o lasciata a un fai-da-te infecondo. Il Direttorio Generale della Catechesi (Congregazione del Clero, LEV 1997) al n. 234 afferma:
Qualsiasi attività pastorale, che non faccia assegnamento per la sua realizzazione su persone veramente formate e preparate, mette a rischio la sua qualità. Gli strumenti di lavoro non possono essere veramente efficaci se non saranno utilizzati da catechisti ben formati. Pertanto, l’adeguata formazione dei catechisti non può essere trascurata in favore dell’aggiornamento dei testi e di una migliore organizzazione della catechesi”.
I metodi possibili al servizio della formazione sono molti. In questi ultimi anni, la Chiesa italiana, ha indicato un modo concreto di gestire la formazione dei catechisti della Iniziazione Cristiana, ma anche ciò che essi stessi sapranno attuare con i destinatari. Si tratta del modello laboratorio.
Il termine è entrato prepotentemente in questi ultimi anni nel linguaggio formativo. La caratteristica principale del laboratorio è quella di produrre facendo, sperimentando, e di assumere l’esistenza e il vissuto dei partecipanti come luogo di ricerca, di analisi e d’intervento. Questo metodo non è l’unico possibile, ma si raccomanda per la sua provata efficacia e qualità formativa. (vedi UCN, La formazione dei catechisti nella comunità cristiana, 2006).
In proposito, proprio in questi mesi, la Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi della CEI, sta redigendo una proposta di Orientamenti condivisi sul tema della catechesi in Italia, che terrà conto anche del tema non procrastinabile della formazione. Tale testo sarà poi sottoposto alla valutazione del’Assemblea generale dei Vescovi Italiani per l’approvazione, nella speranza di ricavarne veramente un orientamento comune per le diocesi italiane, e in ricaduta, per le nostre comunità parrocchiali.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica e il suo Compendio sono gli strumenti indispensabili per la formazione spirituale e teologica dei catechisti, dando loro un quadro completo dei contenuti della fede, in sintonia con la predicazione del messaggio cristiano, così come la Chiesa Cattolica lo professa nei secoli.

Il cambiamento avvenuto in questi anni nella società civile ha reso obsoleto il “catecumenato sociale” (come è stato sottolineato da alcuni catecheti come E. Biemmi, A. Fossion, e altri), in cui le grandi agenzie educative – la famiglia, la scuola, la parrocchia – proponevano i medesimi valori cristiani ed etici : era la cosiddetta “società cristiana”. Si andava a “dottrina” per mettere in ordine le idee, perché il resto i ragazzi già lo “vivevano”. A catechismo si “imparava”. Che cosa dobbiamo credere? E ti insegnavano il Credo. Che cosa dobbiamo ricevere? Ti spiegavano i sacramenti. Che cosa dobbiamo fare? E imparavi i dieci Comandamenti. Come rivolgersi a Dio? Ed ecco la preghiera. In questo contesto per essere catechisti era sufficiente essere mamme e qualche volte anche nonne (cfr Michele Roselli, Dossier Catechista, LDC Aprile 2012).
Oggi, questa “alleanza educativa” tra chiesa e società civile nelle sue varie forme espressive, quali appunto la famiglia e la scuola, non trova più sintonia. E’ decisamente cambiato il modo di vivere, di pensare e addirittura si possono usare le medesime parole ma dandone significato culturale differente. Ci si rende conto che non è più sufficiente “imparare il catechismo” ma, occorre integrare i contenuti della fede cristiani con la vita quotidiana. Dal Documento di Base (1970), nel corso degli anni, sono stati fatti diversi tentativi quali ad esempio il rinnovamento dei catechismi con l’intento di evidenziare “per la vita cristiana” e ci si è posti alla ricerca, coadiuvati anche dalle scienze umane, di nuove metodologie catechistiche e concretamente si è passati dal “tutto a memoria”, a favore di una educazione attorno ai contenuti di fede ma con una forte metodologia “scolastica”, al “niente a memoria” favorendo maggiormente l’aspetto esperienziale, a discapito però dei medesimi contenuti.

Sono convinta che la chiave del rinnovamento della catechesi sta nell’attivare un processo iniziatico, nell’introdurre alla fede cristiana, al suo contenuto (fides quae) e all’esperienza di essa (fides qua), e queste due dimensioni sono entrambe dono di Dio.
Per attuare, dunque, una “catechesi per la vita cristiana”, come la Chiesa invita già da tempo, dal Concilio Vaticano II in poi, occorre attivare una formazione che aiuti i catechisti al passaggio da una catechesi che “mette in ordine le idee” ad un accompagnamento verso la pienezza della vita cristiana.

I padri sinodali ci ricordano inoltre che la testimonianza della vita cristiana è la prima insostituibile forma di catechesi. Come già ci ricordava Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi (n. 41), l’uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, più all’esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie.
La prima forma di testimonianza è la vita stessa del catechista, della famiglia cristiana e della comunità ecclesiale, che rende visibile un modo nuovo di comportarsi. Il catechista che, pur con tutti i limiti e difetti umani, vive con semplicità secondo il modello di Cristo, è un segno di Dio e delle realtà trascendenti e può, nel medesimo tempo, narrare e annunciare quanto il Signore sta compiendo nella sua vita. Ma tutti nella Chiesa, sforzandoci di imitare Gesù il Maestro, possono e debbono dare tale testimonianza (cfr LG 28.35.38), che in molti casi è l’unico modo possibile di essere missionari ed evangelizzatori.

Maria Grazia Rasia

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n.30: Teologia

PROPOSIZIONE 30: TEOLOGIA
La teologia, in quanto scienza della fede, ha una sua importanza per la nuova evangelizzazione.
I sacerdoti, gli insegnanti e i catechisti devono essere formati in istituzioni di educazione superiore. La Chiesa apprezza ed incoraggia la ricerca e l’insegnamento della teologia. La teologia scientifica ha il suo proprio luogo nell’università, dove deve fare un dialogo tra la fede e le altre discipline e il mondo secolare. I teologi sono chiamati a compiere questo servizio come parte della missione salvifica della Chiesa. E’ necessario che loro pensino e sentano la Chiesa (sentime cum Ecclesia). Il Sinodo propone che la nuova evangelizzazione sia considerata una dimensione integrale della missione di ogni facoltà teologica e che un dipartimento di Studi sulla nuova evangelizzazione venga istituito nelle università cattoliche.

Dal Catechismo della Chiesa Cattolica (n.94): “Grazie all’assistenza dello Spirito Santo, l’intelligenza tanto delle realtà quanto delle parole del deposito della fede può progredire nella vita della Chiesa:
- “con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le mediano in cuor loro” (DV, 8); in particolare “la ricerca teologica … prosegue nella conoscenza profonda della verità rivelata” (GS, 62 e 7; DV 23 e 24, Unitatis Reintegratio, 4).
- “Con la profonda intelligenza che” i credenti “provano delle cose spirituali” (DV, 8); “Divina eloquia cun legente crescunt – le parole divine crescono insieme con chi le legge” (S.Gregorio Magno, Homilia in Ezechielem, 1,7,8).
- “Con la predicazione di coloro i quali, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma certo di verità” (DV, 8).
La Teologia si organizza come scienza della fede alla luce di un duplice principio metodologico: l’auditus fidei e l’intellectus fidei. Con il primo, essa entra in possesso dei contenuti della Rivelazione così come sono stati esplicitati progressivamente nella Sacra Tradizione, nella Sacra Scrittura e nel Magistero vivo della Chiesa (cfr Dei Verbum, 10). Con il secondo, la Teologia vuole rispondere alle esigenze proprie del pensiero mediante la riflessione speculativa. Il lavoro teologico nella Chiesa è in primo luogo al servizio dell’annuncio della fede e della catechesi (cfr Catechesi tradendae, n. 30; Donum veritatis, n. 7), quindi a servizio della evangelizzazione.
L’invito che i padri sinodali manifestano ai teologi in questa proposizione al sentire cum Ecclesia, è molto importante. Infatti, a volte, pare si sia creata una frattura tra Teologia e Dottrina, e ancor più, tra Teologia e Spiritualità. Si sente la necessità che lo studio non sia tutto accademico ma alimenti la spiritualità (vedi Veglia Incontro internazionale Sacerdoti, Benedetto XVI con i sacerdoti, 10 giugno 2010). Occorre usare la ragione grande che è aperta alla grandezza di Dio. E’ necessario avere il coraggio di andare oltre il positivismo e andare alla questione delle radici dell’Essere, avere l’umiltà di non sottomettersi ad esempio a tutte le ipotesi del momento, ma vivere della grande fede della Chiesa di tutti i tempi.
Ancora, è indispensabile pensare che la Sacra Scrittura non è un Libro isolato: è vivente nella comunità, vivente della Chiesa, che è lo stesso soggetto in tutti i secoli e garantisce la presenza della Parola di Dio. Il Signore Risorto ci ha dato la Chiesa come soggetto vivo, con la struttura dei Vescovi in comunione con il Papa, e tale realtà garantisce la testimonianza della verità permanente.
Dobbiamo avere fiducia del Magistero permanente della comunione dei Vescovi con il Papa e nella vita della Chiesa perché è presente l’azione dello Spirito Santo che illumina e guida e, anche, dobbiamo essere critici. Il criterio della fede è il criterio con il quale vedere anche i teologi e le teologie.
Il Beato Giovanni Paolo II ci ha donato un criterio assolutamente sicuro nel Catechismo della Chiesa Cattolica: qui vediamo la sintesi della nostra fede e troviamo il criterio per vedere dove va una teologia accettabile o non accettabile.
E’ inteso che anche per i teologi vale la sollecitazione della santità e della testimonianza di vita personale (vedi proposizione 29)! Essere teologo significa vivere veramente della Parola di Dio, nutrendosi nella meditazione, vivere la fede della Chiesa e aiutare perché la Fede sia presente nel nostro oggi. Non ci sono “correnti” o “maggioranze” contro la “maggioranza dei Santi”: la vera maggioranza sono i Santi nella Chiesa e ai Santi ci si deve orientare come esempi all’unico Modello da seguire che ci ha svelato il volto del Padre: Cristo Gesù!
Pur ribadendo l’importanza della formazione e dello studio teologico (ci mancherebbe!), riporto una frase di Soren Kierkegard che mi ha sempre molto impressionata: “Ecco il grande rischio del cristianesimo: che i professori di Dio prendano il sopravvento sui testimoni di Dio!”.

Maria Grazia RAsia

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n. 35: Liturgia

PROPOSIZIONE 35: LITURGIA
La degna celebrazione della santa liturgia, il dono più prezioso di Dio per noi, è la fonte della più alta espressione della nostra vita in Cristo (SC n. 10). E’, perciò, la prima e più potente espressione della nuova evangelizzazione. Attraverso la sacra liturgia Dio desidera manifestare la bellezza incomparabile del suo amore incommensurabile ed incessante per noi, e noi, da parte nostra, desideriamo offrire ciò che è più bello nella nostra adorazione di Dio in risposta al suo dono. Nello scambio meraviglioso della sacra liturgia, in cui il cielo scende sulla terra, la salvezza è a portata di mano, suscitando il pentimento e la conversione del cuore (Mt 4,17; Mc 1,15).
L’evangelizzazione nella Chiesa richiede una liturgia che elevi il cuore degli uomini e delle donne verso Dio. La liturgia non è solo un’azione umana ma un incontro con Dio che conduce alla contemplazione e all’amicizia profonda con Dio. In questo senso, la liturgia della Chiesa è la migliore scuola della fede.

Come già affermato in precedenza (ndr proposizioni nn. 22-23), la conversione originaria riguarda chi annuncia il Vangelo prima che il destinatario di tale annuncio. Ed è vero che uno dei luoghi decisivi dove si realizza la conversione permanente dei cristiani è la liturgia. Non a caso i padri sinodali indicano la liturgia come “la prima e più potente espressione della Nuova Evangelizzazione”. Di fatto, senza liturgia, è impossibile qualsiasi forma di evangelizzazione e di maturazione della fede, da più punti di vista.
In primo luogo il suo compito è di “continuare Gesù” e non è in alcun modo paragonabile ad altre forme di mediazione dello Stesso proprie della organizzazione ecclesiastica. La liturgia contiene la parte di gran lunga più importante del deposito della fede e non è eccessivo affermare che essa è lo strumento più nobile del Magistero ordinario della Chiesa.
In secondo luogo, come affermava Odo Casel, uno dei padri della riforma liturgica del XX secolo, la liturgia vincola i cristiani all’oggettivo, essendo il culto il “qui e ora” dell’azione salvifica di Cristo attraverso un’espressione simbolica riconoscibile da tutti.
Queste due prospettive hanno trovato piena maturazione nella Sacrosanctum Concilium (1963).
Il cammino postconciliare della Chiesa italiana su Evangelizzazione e Sacramenti (1973-1980), ha dato buoni frutti nel chiarire come celebrazione e annuncio sono tra loro inscindibili, ma non ha evitato del tutto una certa strumentalizzazione della liturgia, piegandola ad una ulteriore via di catechesi oppure a sbocco finale della stessa. Vi è su quest’ultima posizione un “errore antropocentrico” che fa dipendere la liturgia da esigenze pastorali contingenti, pensandola di volta in volta o a servizio della trasmissione di determinati contenuti o come forma efficace di socializzazione ecclesiale.
Invece affermiamo che l’incontro personale di Gesù Cristo nella Chiesa avviene principalmente attraverso la Liturgia, in specie la celebrazione eucaristica, luogo di rigenerazione della fede anche e soprattutto in senso missionario.
La proposizione 35 che stiamo rileggendo insiste sul tema della bellezza (tra l’altro sviluppato in una intera proposizione, la n. 20), fa capire come la liturgia sia evangelizzatrice soprattutto nella sua capacità di attrazione. L’evangelizzazione, fin dagli inizi, non avviene solo mediante l’annuncio verbale, ma, come testimoniano gli Atti degli Apostoli, attraverso una forma di vita comunitaria che ha il suo vertice nell’azione liturgica dello spezzare il pane. Il sommario di At 2,42-47 si conclude riconoscendo che “il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (2,47). Parlando al clero della diocesi di Roma, il 22 febbraio 2007, Benedetto XVI afferma che “se celebriamo l’eucaristia come ascolto prima, poi come risposta (rispettando così il primato di Dio), la celebriamo bene. E la gente viene attirata attraverso la nostra preghiera comune nel novero dei figli di Dio”.

Alcune questioni su cui riflettere.
La nota pastorale della CEI Evangelizzazione e Sacramenti (12/7/1973) ha affermato: “Alla base di tutto, deve essere con insistenza ribadito il primato dell’evangelizzazione, che solleciti una salutare inquietudine di fronte alle mutate condizioni e quindi alle carenze evidenti di certi metodi del passato”. Se ci si limitasse ancora a concentrare l’attenzione quasi unicamente sulla prassi sacramentale, si finirebbe col ridurre il Sacramento, avulso dal suo vitale contesto di fede, a un puro gesto di pratica esteriore, senza riflessi concreti e fecondi sulla vita. Solo una convinzione profonda di tutti gli operatori della pastorale sulla priorità dell’evangelizzazione riuscirà a superare abitudini e stanchezze e a imprimere una spinta vigorosa apostolica della Chiesa in tutti i suoi settori (n. 61). Parola e Sacramento formano un tutt’uno, sono due aspetti di un unico processo salvifico (n.27), perché come insegna il Vaticano II, il legame tra l’evangelizzazione e i sacramenti “trova la sua radice nella stessa dimensione sacramentale propria dell’economia salvifica”( n.32).
Un’altra questione riguarda la “qualità evangelizzatrice” della liturgia. Come può la Liturgia essere di aiuto all’evangelizzazione, trattandosi di un linguaggio che è di sua natura simbolico-rituale? Quale è la peculiarità della liturgia in ordine alla evangelizzazione? Già questi interrogativi invitano a ricercare una risposta anche in una migliore precisazione del significato stesso della parola “evangelizzazione”, che di per sé non è solo comunicazione o informazione su Dio o un messaggio che viene trasmesso a nome di Dio, ma implica un coinvolgimento della vita di colui che viene evangelizzato così come quella dell’evangelizzatore.
L’apostolo Giovanni in 1Gv 1,1-3, ci parla dell’esperienza di fede che coinvolge l’uomo in tutte le dimensioni della sua vita, e rimanda all’esperienza sensibile: udire, vedere, toccare, contemplare. Sono i verbi che descrivono ciò che l’uomo sperimenta nella celebrazione liturgica. La dinamica della fede non può essere ridotta all’accoglienza di alcuni contenuti veritativi, ma comporta sempre l’aprire la porta del cuore a Cristo. Infatti “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus Caritas est n.1).
Vivere la liturgia, in particolare l’Eucaristia, come reale incontro con Cristo, riscalda il cuore (Lc 24,32) e aiuta a capire che la fede autentica è pervasa da amore per il Signore, così come egli lo ha descritto additando “il primo di tutti i comandamenti” (Mc 12,28-31).
La celebrazione liturgica riscatta e purifica l’amore dell’uomo verso Dio dal rischio del soggettivismo illusorio, che pretende di amare Dio con modalità che l’uomo pensa siano le migliore o le più rispondenti ai suoi propri bisogni. Invece, il valore oggettivo del rito, che l’uomo non si inventa volta per volta, mette in atto la fede nella modalità voluta da Gesù. Nel rito liturgico infatti l’uomo agisce non come primo attore, ma come destinatario dell’azione di Dio che è il grande Protagonista; nel rito l’uomo è attivamente presente, ma a sua volta viene trasformato da ciò che celebra.
Elemento fondamentale, primario, del dialogo con Dio nella liturgia, è la concordanza tra ciò che diciamo con le labbra e ciò che portiamo nel cuore.
Così si diventa capaci di essere annunciatori del Vangelo. La celebrazione liturgica, infatti, è evangelizzante anche perché conduce alla missione secondo l’incisiva affermazione del beato Giovanni Paolo II: “La missione è un problema di fede” (RM n. 11), e la fede è nutrita nella vita liturgica.

A questo punto come non ricordare le parole del card. Carlo Maria Martini nella Lettera pastorale Ripartiamo da Dio (1995) proprio sul ben celebrare, o all’impulso dato dal card. Dionigi Tettamanzi nel Percorso Pastorale Mi sarete Testimoni (2003) circa “l’alta qualità celebrativa”? Senza dimenticare la proposta formativa che il Servizio Liturgico ha proposto agli operatori pastorali nelle Quattro giorni liturgiche sul tema delle varie parti della Messa, e come lo stesso Arcivescovo Tettamanzi sollecitò le singole comunità cristiane, in particolare nell’espressione dei consigli pastorali, a un lavoro di riflessione e consapevolezza proprio sul tema delle celebrazioni festive della Eucaristia, sia in termini quantitativi che qualitativi.

Concretamente, è constatato dalla realtà dei fatti che, la modalità e le attenzioni attuate da una comunità cristiana nel celebrare la liturgia, dicono, divengono lo “specchio veritativo”, di come la medesima comunità vive le altre dimensioni della vita cristiana come l’ascolto della parola, la carità, la testimonianza, la vocazione e la missione.


Maria Grazia Rasia

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n. 36: La dimensione spirituale della Nuova Evangelizzazione

PROPOSIZIONE 36: DIMENSIONE SPIRITUALE DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE


L'agente principale dell'evangelizzazione è lo Spirito Santo, che apre i cuori e li converte a Dio. L'esperienza di incontrare il Signore Gesù, resa possibile dallo Spirito che ci introduce nella vita trinitaria, accolta in uno spirito di  adorazione, di supplica e di lode, deve essere fondamentale in tutti gli aspetti della nuova evangelizzazione, che viene nutrita continuamente attraverso la preghiera, cominciando con la liturgia, in particolare l'Eucaristia, fonte e culmine della vita della Chiesa. Di conseguenza, proponiamo che la preghiera venga incoraggiata ed insegnata sin dall'infanzia. I bambini e i giovani devono essere educati nella famiglia e nelle scuole a riconoscere la presenza di Dio nella loro vita, a lodarLo, a rendere grazie per i doni ricevuti da Lui e a chiedere allo Spirito Santo di guidarli.

S. Paolo nella lettera ai Romani (8,26-27) afferma: "Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio". Lo Spirito Santo, che fa nuove tutte le cose, fa nuova la cosa più importante di tutte che è la preghiera. La preghiera "nello Spirito" deve servire a rinnovare, nella Chiesa e in noi, soprattutto una cosa, e cioè il rapporto tra preghiera e azione, intendendo per "azione" ogni cosa che non sia la preghiera.

A volte si dice: "Prima si prega e poi si agisce", ma forse è meglio dire "Prima si prega e poi si fa ciò che è emerso dalla preghiera"! Per il dono del Battesimo, c'è in noi, come una vena segreta di preghiera, "un tesoro nascosto nel campo" del nostro cuore! Parlando di questa voce interiore dello Spirito, sant'Ignazio di Antiochia scriveva: "Sento in me un'acqua viva che mormora e dice "Vieni al Padre!". Questa vena interiore di preghiera, costituita dalla preghiera nello Spirito di Cristo in noi, rende viva e vera ogni altra forma di preghiera: quella di lode, quella di domanda, quella spontanea, quella liturgica. Soprattutto quella liturgica, il cui culmine è l'Eucaristia.

Quando noi preghiamo spontaneamente, con parole nostre, è lo Spirito che fa sua la nostra preghiera, ma quando preghiamo con le parole della Bibbia o della Liturgia, siamo noi che facciamo nostra la preghiera dello Spirito ed è cosa più sicura. Anche la preghiera silenziosa di contemplazione e di adorazione trova un incalcolabile giovamento a essere fatta nello Spirito. Questo è ciò che Gesù chiamava "adorare il Padre in Spirito e verità" (Gv 4,23).

Gli apostoli e i santi pregavano per sapere cosa fare e non semplicemente prima di fare una cosa. Occorre essere consapevoli che veramente è Dio che governa la Chiesa attraverso il suo Spirito, e che questi è l'artefice principale della missione ecclesiale e quindi della evangelizzazione. Sia Papa Benedetto XVI che Papa Francesco ci ricordano che la Chiesa non è nostra, ma è di Cristo e Lui dobbiamo seguire!

Occorre "restituire il potere a Dio". Occorre riporre la fiducia in Dio non in noi stessi. Anche se a volte può sembrare che tutto resti come prima e che nessuna risposta evidente sia scaturita dalla preghiera, non è assolutamente vero. Con la preghiera, la questione è stata presentata a Dio, rimessa, per così dire, nelle sue mani; ci si è spogliati del proprio punto di vista, dei propri interessi: qualsiasi decisione si prenderà, sarà quella giusta davanti a Dio. Tanto maggiore è il tempo che si dedica alla preghiera, a proposito di un problema, tanto minore sarà poi il tempo che occorrerà per risolverlo. Per Gesù, pregare e agire non erano due cose separate. Pregava sempre e faceva sempre la volontà del Padre.

La Chiesa non è una barca a remi che avanza per la forza e la destrezza delle braccia di chi vi sta dentro, ma è una barca a vela che avanza per il vento che la spinge "dall'alto", quel vento di cui nessuno sa di dove viene né dove va (cfr Gv 3,8) e che si raccoglie con la vela della preghiera, ma che ha una direzione certa quella di Cristo Risorto il Signore della storia. 

S. Caterina da Siena pregava così: "O dolcissimo Amore, tu vedesti in te le necessità della Santa Chiesa e le hai apprestato il rimedio che le bisogna; esso è la preghiera dei tuoi servi, dei quali tu vuoi che si faccia un muro, con il quale sostenere il muro della Santa Chiesa. Sono quei servi ai quali la clemenza del tuo Spirito Santo infonde infuocati desideri per la riforma della stessa Chiesa" (Orazione VII).

Preghiamo anche noi così, perché lo Spirito Santo faccia di ciascuno di noi una "pietra viva", per costruire un muro di preghiera che sempre si eleva per sorreggere e proteggere la Chiesa che ha il mandato di annunciare Gesù Risorto, salvatore di tutti gli uomini.

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