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n. 11: La nuova evangelizzazione e la lettura orante della Sacra Scrittura

PROPOSIZIONE 11: LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE E LA LETTURA ORANTE DELLA SACRA SCRITTURA
 
Dio ha comunicato se stesso nel Verbo incarnatosi. Questa Parola divina, ascoltata e celebrata nella Liturgia della Chiesa, in particolare nell’Eucaristia, rafforza interiormente i fedeli e li rende capaci di una autentica testimonianza evangelica nella loro vita quotidiana. I padri sinodali desiderano che la parola divina “diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale” (Verbum Domini, 1).
La porta alla Sacra Scrittura deve essere aperta a tutti i credenti. Nel contesto della nuova Evangelizzazione, ogni opportunità per lo studio della Sacra Scrittura deve essere messa a disposizione. La Scrittura deve permeare omelie, catechesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede.
Considerando la necessità di familiarità con la Parola di Dio per la nuova evangelizzazione e per la crescita spirituale dei fedeli, il Sinodo incoraggia  diocesi, parrocchie e piccole comunità cristiane a continuare uno studio serio della Bibbia e la Lectio divina, la lettura orante delle Scritture (Dei Verbum, 21-22).
 
La Parola di Dio sta alla base di ogni autentica spiritualità cristiana. La costituzione conciliare Dei Verbum al n. 25 afferma: “Tutti i fedeli … si accostino volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia, che è impregnata di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi, che con l’approvazione e a cura dei Pastori della Chiesa, lodevolmente oggi  si diffondono ovunque. Si ricordino però che la lettura  della Sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera”.
La riflessione conciliare intendeva riprendere la grande tradizione patristica che ha sempre raccomandato di accostare la Scrittura nel dialogo con Dio. Come dice S. Agostino: “La tua preghiera è la tua parola rivolta a Dio. Quando leggi è Dio che ti parla; quando preghi sei tu che parli a Dio”.
Tuttavia si deve evitare il rischio di un approccio individualistico, tenendo presente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella Verità nel nostro cammino verso Dio. E’ una Parola che si rivolge a ciascuno personalmente, ma è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò il testo sacro deve essere sempre accostato nella comunione ecclesiale. In effetti, “è molto importante la lettura comunitaria, perché il soggetto vivente della Sacra Scrittura è il Popolo di Dio, la Chiesa… la Scrittura non appartiene al passato, perché il suo soggetto, il Popolo di Dio ispirato da Dio stesso, è sempre lo stesso, e quindi la Parola è sempre viva nel soggetto vivente. Perciò è importante leggere la sacra Scrittura e sentire la sacra Scrittura nella comunione della Chiesa, cioè con tutti i grandi testimoni di questa Parola, cominciando dai primi Padri fino ai Santi di oggi, fino al Magistero di oggi” (Benedetto XVI, Discorso alunni Seminario Romano Maggiore, 19.02.2007).
Possiamo dunque sintetizzare in questo modo: dalla celebrazione del Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica ha riscoperto che questa trasmissione della fede intesa come incontro con Cristo, si attua mediante la Sacra Scrittura e la Tradizione viva della Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo.
E’ così che la Chiesa viene continuamente rigenerata dallo Spirito. In questo modo le nuove generazioni vengono sostenute nel loro cammino di incontro con Cristo nel suo corpo, che trova la sua piena espressione nella celebrazione della Eucaristia. La centralità di questa funzione di trasmissione della fede è stata riletta ed evidenziata nelle ultime due Assemblee sinodali sull’Eucaristia e in particolare in quella dedicata alla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. In queste due Assemblee la Chiesa è stata invitata a riflettere e a riprendere piena coscienza della dinamica profonda che ne sostiene l’identità: la Chiesa trasmette la fede che essa stessa vive, celebra, professa, testimonia. A queste due Assemblee sinodali hanno fatto seguito le due Esortazioni Apostoliche di Papa Benedetto XVI Sacramentum caritatis e Verbum Domini, che ne hanno confermato e rilanciato le indicazioni e gli orientamenti pastorali per la Chiesa intera.
 
M.Grazia Rasia
 
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n 12: I documenti del Concilio Vaticano II

PROPOSIZIONE 12: I DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II
 
I padri sinodali riconoscono che l’insegnamento del Vaticano II è uno strumento vitale per trasmettere la fede nel contesto della nuova evangelizzazione. Allo stesso tempo, ritengono che i documenti del Concilio devono essere letti ed interpretati correttamente. Pertanto, vogliono manifestare la loro adesione al pensiero del nostro Santo Padre, papa Benedetto XVI, che ha indicato il principio ermeneutico della riforma nella continuità per essere in grado di scoprire in questi testi lo spirito autentico del Concilio. “C’è l’ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino … Ma ovunque questa interpretazione è stata l’orientamento che ha guidato la recezione del Concilio, è cresciuta una nuova vita e sono maturati frutti nuovi” (Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2005). In questo modo, sarà possibile rispondere alla necessità di rinnovamento richiesto dal mondo moderno e, allo stesso tempo, preservare fedelmente la natura della Chiesa e della sua missione.
 
Il Concilio Vaticano II e la Nuova Evangelizzazione sono temi ricorrenti nel Magistero sia di Papa Paolo VI, del Beato Giovanni Paolo II e anche di Benedetto XVI. Quest’ultimo, nell’indire l’Anno della Fede, ha auspicato che tale evento possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari, in sintonia con i suoi predecessori. I documenti del Concilio Vaticano II sono una guida sicura per affrontare il tema della trasmissione della fede nella nuova evangelizzazione, in una Chiesa attenta alle sfide del mondo attuale, ma saldamente ancorata nella sua viva Tradizione, della quale fa parte appunto lo stesso Vaticano II.
Nell’ultimo incontro con il clero Romano lo scorso 15 febbraio, Papa Benedetto ha parlato della sua esperienza diretta al Concilio Vaticano II, affermando:
“… c’era il Concilio dei Padri – il vero Concilio -, ma c’era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio dei media, non quello dei Padri. E mentre il Concilio dei Padri si realizzava all’interno della fede, era un Concilio della fede che cerca l’intellectus, che cerca di comprendersi e cerca di comprendere i segni di Dio in quel momento, che cerca di rispondere alla sfida di Dio in quel momento e di trovare nella Parola di Dio la parola per oggi e domani, mentre tutto il Concilio – come ho detto – si muoveva all’interno della fede, come fides qaerens intellectum, il Concilio dei giornalisti non si è realizzato, naturalmente, all’interno della fede, ma all’interno delle categorie dei media di oggi, cioè fuori dalla fede, con un’ermeneutica diversa. Era un’ermeneutica politica: per i media, il Concilio era una lotta politica, una lotta di potere tra diverse correnti nella Chiesa. Era ovvio che i media prendessero posizione per quella parte che a loro appariva quella più confacente con il loro mondo. C’erano quelli che cercavano la decentralizzazione della Chiesa, il potere per i Vescovi e poi, tramite la parola “Popolo di Dio”, il potere del popolo, dei laici. C’era questa triplice questione: il potere del Papa, poi trasferito al potere dei Vescovi e al potere di tutti, sovranità popolare. Naturalmente, per loro era questa la parte da provare, da promulgare, da favorire. E così anche per la liturgia: non interessava la liturgia come atto della fede, ma come una cosa dove si fanno cose comprensibili, una cosa di attività della comunità, una cosa profana … Queste traduzioni, banalizzazioni dell’idea del Concilio, sono state virulente nella prassi dell’applicazione della Riforma liturgica; esse erano nate in una visione del Concilio al di fuori della sua propria chiave, della fede. E così, anche nella questione della Scrittura: la Scrittura è un libro, storico, da trattare storicamente e nient’altro e così via.
Sappiamo come questo Concilio dei media fosse accessibile a tutti. Quindi, questo era quello dominante, più efficiente, ed ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata … e il vero Concilio ha avuto difficoltà a concretizzarsi, a realizzarsi; il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale. Ma la forza reale del Concilio era presente e, man mano, si realizza sempre più e diventa la vera forza che poi è anche vera riforma, vero rinnovamento della Chiesa. Mi sembra che, 50 anni dopo il Concilio, vediamo come questo Concilio virtuale si rompa, si perda, e appare il vero Concilio con tutta la sua forza spirituale. Ed è nostro compito, proprio in questo Anno della Fede, cominciando da questo Anno della Fede, lavorare perché il vero Concilio, con la sua forza dello Spirito Santo, si realizzi e sia realmente rinnovata la Chiesa. Speriamo che il Signore ci aiuti. Io, ritirato con la mia preghiera, sarò sempre vicino con voi, e insieme andiamo avanti con il Signore, nella certezza: Vince il Signore! Grazie!”
L’intero intervento di Papa Benedetto XVI può essere scaricato dal sito vatican.va
 
Come non ricordare che “l’ermeneutica politica” si è di nuovo ripresentata nei giorni della Sede Vacante e fino al Conclave dello scorso mese di Marzo, con i media che quotidianamente indicavano tra i cardinali, lotte, contrapposizioni, liste di papabili tendenti a “curiali o no” a seconda dei gusti, il tutto come una scalata al potere per diventare papa? 
Subito, 2 giorni dopo l’elezione (16.03.2013), è arrivata puntuale l’esortazione di Papa Francesco all’udienza ai giornalisti di tutto il mondo chiedendo di evitare un’ottica “politica” sulla comunità dei credenti (cfr Avvenire, 17 marzo 2013).
 
 M.Grazia Rasia
 
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n.17: Preamboli della fede e teologia della credibilità

PROPOSIZIONE 17: PREAMBOLI DELLA FEDE E TEOLOGIA DELLA CREDIBILITÀ
Nel contesto contemporaneo di una cultura globale, molti dubbi ed ostacoli causano un esteso scetticismo ed introducono nuovi paradigmi di pensiero e vita. E’ di importanza capitale, per una Nuova evangelizzazione, sottolineare il ruolo dei preamboli della fede. E’ necessario non solo mostrare che la fede non si oppone alla ragione, ma anche di mettere in evidenza un numero di verità e realtà che appartengono ad una antropologia corretta, illuminata dalla ragione naturale.
Tra questi, c’è il valore della Legge naturale e le conseguenze che ha per la società intera. Le nozioni di “Legge naturale”e “natura umana” sono capaci di dimostrazioni razionali, sia a livello accademico che popolare. Tale sviluppo ed impresa intellettuale aiuteranno il dialogo tra fedeli cristiani e persone di buona volontà, aprendo un cammino per riconoscere l’esistenza di un Dio Creatore e il messaggio di Gesù Cristo Redentore.
I padri sinodali domandano ai teologi di sviluppare una nuova apologetica del pensiero cristiano, ossia una teologia della credibilità adeguata ad una nuova evangelizzazione.
Il Sinodo lancia un appello ai teologi di accettare e rispondere alle sfide intellettuali della Nuova Evangelizzazione partecipando alla missione della Chiesa di proclamare a tutti il Vangelo di Cristo.

“La dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali e non per un cieco impulso interno e per mera coazione esterna. Ma tale dignità l’uomo la ottiene quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine con scelta libera del bene e si procura da sé e con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti” (GS n. 17).
Nel suo tendere a Dio, a colui che “solo è buono”, l’uomo deve liberamente compiere il bene ed evitare il male. Ma per questo l’uomo deve distinguere il bene dal male. Ed è quanto avviene, innanzitutto, grazie alla luce della ragione naturale, riflesso nell’uomo dello splendore di Dio. Per Legge naturale s’intende “ciò non in rapporto alla natura degli essere irrazionali, ma perché la ragione che promulga tale legge è propria della natura umana” (cfr CCC n. 1955).
Il beato Giovanni Paolo II ha affrontato questa tematica in due Lettere encicliche, nella Veritatis Splendor (1993) e nella Fides et Ratio (1998), ma si deve indubbiamente a Benedetto XVI un approfondimento più puntuale e allargato sulla tematica trattata da questa proposizione n. 17.
Infatti, uno dei tratti più peculiari, nella testimonianza di Papa Benedetto XVI, è proprio il suo contributo originale al mondo contemporaneo. Un mondo segnato in maniera pervasiva dal dramma del nichilismo realizzato, nel quale diviene dapprima problematico, poi confuso e infine bloccato il nesso vitale tra l’io e il senso della realtà o tra la ragione e la verità. Questo tratto peculiare consiste nella riproposizione instancabile di una domanda decisiva da parte del Papa: se cioè l’uomo sia ancora capace di conoscere il Mistero dell’essere e disponibile alla possibilità che questo Mistero si faccia riconoscere in una forma concreta, reale, storica. Si tratta di una domanda completamente archiviata dalla cultura contemporanea, per cui la conoscenza è ridotta ad un processo di misurazione o ad una tecnica di gestione del mondo, e il Mistero viene confinato al di là del reale oppure semplicemente si frange e si dissolve nelle nostre interpretazioni (vedi discorso Incontro con i rappresentanti della scienza, Regensburg, 2006). E la verità delle cose o è un prodotto in nostro potere o semplicemente non è.
Qui è il “deserto” che Papa Benedetto XVI vuole attraversare e condividere come un “pellegrino”, come ha detto all’inizio dell’Anno della Fede.
Egli ha fatto vedere, partendo dalla sua personale esperienza, che la ragione dell’uomo non si accontenta mai di tale soluzione, perché è “intessuta” di quella domanda di realtà, come un bisogno infinito di essere (il quaerere Deum di cui ha parlato nel grande discorso parigino ai Bernardins nel 2008).
Quest’attesa, questa possibilità della nostra ragione è il segno che essa consiste in un rapporto con il Mistero presente. Un rapporto che non è dato una volta per tutte, ma rinasce, o può rinascere di continuo, a partire da un fatto che riaccade: l’incontro – attraverso cose, eventi, persone – con il Logos divino che mi crea e mi vuole in un gesto “amoroso”, in cui è affermato il valore irriducibile e irripetibile di me.
Come il Papa disse al Convegno Ecclesiale di Verona nel 2006, qui “viene capovolta la tendere a dare il primato all’irrazionale”, per cui anche la nostra intelligenza e la nostra libertà sarebbero solo il prodotto di un “caso” necessario e la nostra stessa ricerca sarebbe un’attesa inutile e vana. Solo se la Razionalità non è un’idea iperurania o una costruzione mentale, ma una Persona vivente, Gesù Cristo, acquista rilievo e forza la ragione di ogni persona, nella stupefacente corrispondenza tra la nostra capacità di conoscere il mondo ed il carattere intelligibile, sensato, della realtà che ci viene incontro.
Per dirla con il suo amato Agostino, l’esperienza della verità si fonda sull’essere “presi”, conquistati ogni volta da essa: e il segno di questa esperienza è il “gusto” la “gioia” che essa fa nascere in noi: gaudium de veritate. Solo arrivando al vero, seguendo il suo “tocco”, possiamo scoprire affettivamente la portata incommensurabile del nostro “io”; ma anche la verità non rimane astrattamente in sé, al di fuori di questo rapporto: essa ha bisogno proprio di me, di ciascuno di noi, per accadere sempre di nuovo!

E’ la sfida che i padri sinodali lanciano anche ai teologi perché nei loro studi promuovano una nuova apologetica del pensiero cristiano.

Maria Grazia R.

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n. 18: Nuova evangelizzazione e media

PROPOSIZIONE 18: NUOVA EVANGELIZZAZIONE E MEZZI DI COMUNICAZIONE SOCIALE
L’uso di mezzi di comunicazione sociale ha un ruolo importante da giocare per raggiungere ogni persona con il messaggio della salvezza. In questo campo, specialmente nel mondo di comunicazioni elettroniche, è necessario che cristiani convinti vengano formati, preparati e resi capaci a trasmettere fedelmente il contenuto della fede e della morale cristiana. Devono avere la capacità di utilizzare bene le lingue e gli strumenti di oggi che sono disponibili per la comunicazione nel villaggio globale.
La forma più efficace di questa comunicazione della fede rimane la condivisione della testimonianza di vita, senza cui gli sforzi dei media non si tradurranno in una trasmissione efficace del Vangelo. L’educazione ad un utilizzo razionale e costruttivo dei mezzi di comunicazione sociali è uno strumento importante per la nuova evangelizzazione.

La comunicazione sociale è una componente essenziale della nuova evangelizzazione. È perciò un diritto-dovere della Chiesa adoperarsi affinché la comunicazione sociale sia più autentica, rispettosa della verità, attenta alla dignità della persona, nella consapevolezza che la comunicazione della fede passa in larga misura anche attraverso di essa. In tutta l’azione della Chiesa è richiesta una maggiore attenzione per un ricorso sapiente e originale ai media, nel quadro di una pastorale organica delle comunicazioni sociali. Infatti, per situarsi nel cuore del progresso umano cercando di capirlo ed interpretarlo e per affrontare i problemi della comunicazione della fede nella società dominata dai media, non basta affinare gli strumenti o affidarsi alle nuove tecnologie; è indispensabile cogliere le sfide culturali lanciate alla società e alla Chiesa dal nuovo orizzonte comunicativo.
Servono a poco le iniziative estemporanee ed episodiche. È urgente, piuttosto, sviluppare una progettazione pastorale coerente e incisiva. Numerose sono state sino ad oggi le indicazioni del Magistero che dal Concilio Vaticano II non ha perso occasione per sottolineare il nesso profondo tra la missione della Chiesa e le comunicazioni sociali. Una significativa presa di coscienza in merito è emersa per la Chiesa in Italia al Convegno ecclesiale di Palermo, come testimoniano gli impegni poi assunti dall’episcopato: «Intendiamo promuovere in ogni diocesi una pastorale organica della comunicazione sociale, con ufficio diocesano adeguato e animatori ben preparati, per curare la formazione dei sacerdoti, dei comunicatori e degli utenti» (CEI, Con il dono della carità dentro la storia, 29). Nell’ottica di una pastorale integrata occorre prevedere un percorso di educazione alla comunicazione, propositiva e critica nei confronti dei media e nello stesso tempo attenta all’evoluzione dei suoi linguaggi. Ogni progetto pastorale deve tener conto dei rapporti tra linguaggio della fede e nuovi linguaggi mediali. È la logica degli stessi orientamenti pastorali per il primo decennio del Duemila, che della comunicazione fanno una prospettiva specifica con cui deve coniugarsi l’evangelizzazione: «Le iniziative avviate in questi anni dalla Chiesa in Italia per raccordare e promuovere la comunicazione in campo ecclesiale e per rendere più incisiva la presenza della Chiesa nei media dovranno trovare in questo decennio un’ulteriore realizzazione nel quadro di un’organica pastorale delle comunicazioni sociali e nella prospettiva del progetto culturale»(CEI Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 39).
Come può operare la Chiesa all’interno della nuova cultura? Ad un contesto sempre più complesso, segmentato e pluralistico, si aggiunge il profilo multietnico e multireligioso. Quali forme e indirizzi devono assumere l’evangelizzazione, la catechesi e la formazione?
Nell’individuare le risposte, la Chiesa è consapevole che la sua vita di comunione, come la sua capacità di rispondere alle domande, cresce anche per l’apporto prezioso delle comunicazioni sociali. Pertanto tutti i suoi membri devono familiarizzare con gli strumenti mediatici e in particolare con i nuovi media.
Una tale prospettiva di impegno comporta la ridefinizione del profilo di tutta l’azione pastorale, compito che non può essere affidato esclusivamente ad alcuni esperti o ai soli addetti del settore.
Sono coinvolte l’intera comunità ecclesiale e la responsabilità dei suoi pastori. L’analisi e il progetto riguardano tutte le componenti della comunità ecclesiale. Non si tratta tanto di inventare cose nuove, quanto di cominciare a dare nuovo vigore a ciò che in molti casi già esiste, ma nei confronti della nuova cultura si trova impotente, spuntato, afono. Il nodo del problema risiede nel legame tra cultura e i mezzi di comunicazione: «L’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in larga parte dal loro influsso. […] Occorre integrare il messaggio stesso in questa nuova cultura creata dalla comunicazione moderna» (Pontificio Consiglio Cultura, Per una pastorale della cultura, 9).

Oltre all’aspetto cultura e mezzi di comunicazione per poter entrare in dialogo con il mondo e nel mondo, non è da sottovalutare il tema educativo rispetto all’uso dei media.
Il lettore, il telespettatore, il radioascoltatore, il navigatore della rete internet è il vero protagonista della comunicazione. Chi fruisce dei prodotti mediali può sancirne il successo o il fallimento. Su di essi, con l’obiettivo di affinarne le capacità critiche e le aspettative culturali, occorre intervenire per migliorare la qualità dei media e la loro corretta fruizione. Tutti, e in particolare le nuove generazioni, dovranno essere in grado di interagire con l’universo dei media in modo critico e creativo, acquisendo una nuova “competenza mediale” per essere a pieno titolo cittadini di questo tempo (cfr PONTIFICIA COMMISSIONE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI, Communio et progressio, 48). Ogni agenzia educativa dovrà farsi carico di questo compito: la famiglia, la parrocchia, la scuola, le associazioni. La Chiesa ha raccomandato con insistenza l’educazione ai media a partire dal decreto conciliare Inter mirifica: «Poiché il retto uso degli strumenti della comunicazione sociale, che sono a disposizione di recettori di ogni età e preparazione culturale, esige una loro adatta e specifica preparazione teorica e pratica, le iniziative atte a questo scopo – soprattutto se destinate ai giovani –, siano favorite e largamente diffuse nelle scuole cattoliche di ogni grado, nei seminari e nelle associazioni dell’apostolato dei laici, e vengano ispirate ai principi della morale cristiana» (CONCILIO VATICANO II, Inter mirifica, 16).
A questa responsabilità educativa non è legittimo sottrarsi. Lo sviluppo delle tecnologie comunicative comporta nuove competenze critiche ed esige una reale partecipazione democratica. Diviene sempre più urgente formare sia i destinatari che i comunicatori sulla base dei principi cristiani (Cf PONTIFICIA COMMISSIONE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI, Communio et progressio, 63-70.107). In particolare «le università, i collegi, le scuole e i programmi educativi cattolici a tutti i livelli dovrebbero offrire corsi a vari gruppi, seminaristi, sacerdoti, religiosi e religiose o animatori laici […], insegnanti, genitori e studenti, così come una formazione più avanzata in tecnologia, gestione, etica e politica delle comunicazioni a coloro che si preparano a operare nell’ambito dei mezzi di comunicazione sociale o a svolgere ruoli decisionali, inclusi quanti operano nel campo delle comunicazioni sociali della Chiesa» PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI, La Chiesa e Internet, 11). È fondamentale, inoltre, che nelle istituzioni formative cattoliche ci siano sempre più ricercatori e studiosi che sappiano affrontare e approfondire tematiche inerenti le questioni culturali legate all’incidenza dei media e delle nuove tecnologie.

Maria Grazia Rasia

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n. 22: La conversione

PROPOSIZIONE 22: LA CONVERSIONE
Il dramma e l’intensità dello scontro di sempre tra il bene e il male, tra la fede e la paura, devono essere presentati come lo sfondo essenziale, come un elemento costitutivo della chiamata alla conversione a Cristo. Questa lotta continua ad un livello naturale e soprannaturale. “Quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!” (Mt 7,14). Molti vescovi hanno parlato del bisogno di rinnovamento in santità nelle loro proprie vite, se vogliono essere degli agenti veritieri ed efficaci della nuova evangelizzazione.
La Nuova evangelizzazione richiede una conversione personale e comunitaria, nuovi metodi di evangelizzazione e un rinnovamento delle strutture pastorali, per essere capaci di passare da una strategia pastorale di mantenimento ad una posizione pastorale che è veramente missionaria.
La Nuova evangelizzazione ci guida verso una autentica conversione pastorale che ci spinge ad attitudini ed iniziative che portano a valutazioni e cambiamenti nella dinamica di strutture pastorali che non rispondono più alle esigenze evangeliche dell’epoca attuale.

Il tema della conversione è molto ampio e comprende diversi aspetti: ne evidenzio almeno tre, la conversione di chi desidera diventare cristiano, la conversione personale dei cristiani per rendere una testimonianza evangelica efficace, ed infine una conversione pastorale che miri ad adeguare l’annuncio evangelico alla situazione attuale e non a “difendere” le proprie strategie o metodi pastorali superati o comunque adatti ad un contesto sociale cristiano, tenendo conto delle indicazioni autorevoli del Magistero. Oggi, l’abbiamo compreso nel nostro percorso di lettura delle proposizioni sinodali fin qui svolto ma è un richiamo che arriva ancor prima dal Vaticano II, la sfida che sta davanti alla Chiesa è proprio quella di un annuncio del Vangelo all’uomo contemporaneo in qualsiasi latitudine esso si trovi a vivere.

1. L’annuncio della parola di Dio mira alla conversione cristiana, cioè all’adesione piena e sincera a Cristo e al suo Vangelo mediante la fede. La conversione è dono di Dio, opera della Trinità (ndr proposizione 4): è lo Spirito che apre le porte dei cuori, affinché gli uomini possano credere al Signore e “confessarlo” (cfr 1Cor 12,3). Di chi si accosta a Lui mediante la fede, Gesù dice: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (Gv 6,44). La conversione determina un processo dinamico e permanente che dura per tutta l’esistenza, esigendo un passaggio continuo dalla “vita secondo la carne”, alla “vita secondo lo Spirito” (Rm 8,3-13). Essa significa accettare, con decisione personale, la sovranità salvifica di Cristo e diventare suoi discepoli.
Oggi l’appello alla conversione è messo in discussione o passato sotto silenzio. Si vede in esso un atto di “proselitismo”; si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Ma si dimentica che ogni persona ha il diritto di udire la “buona novella” di Dio che si rivela e si dona in Cristo, per attuare in pienezza la sua propria vocazione (ndr proposizioni 6 e 9). La grandezza di questo evento risuona nelle parole di Gesù alla samaritana: “Se tu conoscessi il dono di Dio”, e nel desiderio inconsapevole, ma ardente della donna: “Signore, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete” (Gv 4,10.15).
2. Conversione personale permanente. La sintesi programmatica della predicazione di Gesù nel Vangelo di Marco è enunciata solennemente e nettamente: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15). Fede e conversione vanno di pari passo. Accogliere e vivere di fede significa entrare in un nuovo orizzonte di pensiero e adottare un nuovo stile di vita. Anche la nostra immagine di Dio deve essere convertita nell’incontro con Cristo. Non è la nostra idea di Dio che integra l’annuncio cristiano, ma è il Dio di Gesù Cristo, che egli porta e annuncia, a stravolgere e soppiantare – o almeno ad assorbire o purificare – la nostra immagine di Dio. E come l’immagine di Dio, anche la nostra immagine dell’uomo, della società, del mondo intero e delle correlative esigenze nell’agire ha bisogno di conversione.
Può evangelizzare solo chi a sua volta si è lasciato evangelizzare, chi è capace di lasciarsi rinnovare spiritualmente dall’incontro e dalla comunione vissuta con Gesù Cristo. Può trasmettere e testimoniare la fede, come afferma S. Paolo: “Ho creduto, perciò, ho parlato” (2 Cor 4,13). In questo senso la Nuova Evangelizzazione è soprattutto un compito e una sfida spirituale. E’ un compito di cristiani che perseguono la santità.
3. Conversione pastorale. Di fronte agli scenari della Nuova Evangelizzazione, i testimoni per essere credibili devono saper parlare il linguaggio del loro tempo annunciando così dal di dentro la ragione della speranza che li anima (cfr 1 Pt 3,15). Un simile compito non può essere immaginato in modo spontaneo, richiede attenzione, educazione e cura. A questo punto del discorso noi, italiani, non possiamo non ricordare le indicazioni che i nostri Vescovi, più volte nell’arco degli ultimi vent’anni, ci hanno rivolto in questo senso.
Come non ricordare, ad esempio, nel programma pastorale del primo decennio del 2000 Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia la chiara indicazione che per dare concretezza alle decisioni pastorali occorre operare una conversione pastorale? Tra l’altro questo termine e sollecitazione ci veniva ancor prima ribadita nella nota pastorale della CEI Con il dono della carità dentro la storia. La Chiesa in Italia dopo il Convegno di Palermo, 1996.
In CVMC al n. 46 si afferma: “… per imprimere un dinamismo missionario, vogliamo delineare due livelli specifici, ai quali ci pare si debba rivolgere l’attenzione nelle nostre comunità locali …
Il primo livello verificare e correggere il modo di vivere e celebrare il Giorno del Signore (compresi il tempo e lo spazio per una comunità che concretamente vive in un dato luogo), il secondo livello il verificare e lavorare per una fede adulta e pensata, la qualità della formazione cristiana, gli itinerari di iniziazione cristiana e di catecumenato”.
Ancora in modo più preciso, i medesimi orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000, al numero 59 affermano: “La comunità cristiana dev’essere sempre pronta a offrire itinerari di iniziazione e di catecumenato vero e proprio. Nuovi percorsi sono richiesti infatti dalla presenza non più rara di adulti che chiedono il battesimo, di “cristiani sulla soglia” a cui occorre offrire particolare attenzione, di persone che hanno bisogno di cammini per “ricominciare”. La nostra conversione pastorale è, in qualche misura, già in atto ed è sollecitata dai cambiamenti nella società e di fronte alla fede. Ci è richiesta intelligenza, creatività, coraggio. Occorrerà impegnare le nostre migliori energie in questo campo, mediante una riflessione teologico-pastorale e attraverso l’individuazione di concrete e significative proposte nelle nostre comunità … al centro di tale rinnovamento va collocata la scelta di configurare la pastorale secondo il modello della iniziazione cristiana, che – intessendo tra loro testimonianza e annuncio, itinerario catecumenale, sostegno permanente della fede mediante la catechesi, vita sacramentale, mistagogia e testimonianza della carità – permette di dare unità alla vita della comunità e di aprirsi alle diverse situazioni spirituali dei non credenti, degli indifferenti, di quanti si accostano o si riaccostano al Vangelo, di coloro che cercano alimento per il loro impegno cristiano”.
Inoltre, invito le consorelle ausiliarie diocesane, a ricordare e a recuperare gli appunti dell’incontro con Mons. Renato Corti (al tempo vice presidente della CEI per l’Italia Settentrionale) che il 17-12-2001 tenne a Seveso proprio per presentare al nostro Istituto tale documento programmatico della CEI illustrandoci le prospettive del cammino della Chiesa italiana verso una pastorale di missione.

A questo punto, viene spontaneo far emergere dal cuore un rispettoso ringraziamento al Magistero dei Vescovi Italiani per le indicazioni pastorali date alle nostre Chiese, notando una lungimiranza nella lettura della situazione ecclesiale non indifferente! Infatti, proprio ora, i padri sinodali nella espressione delle proposizioni finali che riguardano l’intera Chiesa universale , giungono alle medesime considerazioni e urgenze.
E non da ultimo, non solo per onestà intellettuale ma per una obbedienza al cammino di Chiesa che è chiesto, occorre riconsiderare il magistero del cardinale Tettamanzi che dal percorso pastorale Mi Sarete Testimoni in poi, ha sollecitato la nostra Chiesa Diocesana alle stesse urgenze e nei diversificati aspetti sopra enunciati. Per aiutare la memoria, si può attingere al sito diocesano sotto il nome dell’Arcivescovo emerito, e rivedere tutto il percorso teologico-spirituale-pastorale indicato a ogni singola comunità locale.
In questa luce, è utile la “rilettura” fatta dall’attuale Arcivescovo card. Scola nella lettera pastorale Alla scoperta del Dio vicino, pp. 15-18 n.3 Eredi di un patrimonio inestimabile.

Come non leggere una sollecitazione dello Spirito Santo nell’azione evangelizzatrice della Chiesa universale, diocesana e locale?

 Maria Grazia Rasia

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n. 23: Santità e nuovi evangelizzatori

PROPOSIZIONE 23: SANTITÀ E NUOVI EVANGELIZZATORI
La chiamata universale alla santità è costitutiva della Nuova Evangelizzazione, che vede i santi come modelli efficaci della varietà e forme in cui questa vocazione può essere realizzata. Ciò che è comune nelle diverse storie della santità, è la sequela di Cristo che si esprime in una vita di fede attiva nella carità che è una proclamazione privilegiata del Vangelo.
Noi riconosciamo in Maria un modello di santità che si manifesta negli atti di amore, che vanno fino al dono supremo di se stesso. La santità è una parte importante di ogni impegno evangelizzatore per colui che evangelizza e per il bene di coloro che sono evangelizzati.

Il contesto di emergenza educativa in cui ci troviamo dà ancora più forza alle parole di Paolo VI: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni. (…) E’ dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità” (EN n. 41).
Qualsiasi progetto di nuova evangelizzazione, qualsiasi progetto di annuncio e di trasmissione della fede non può prescindere da questa necessità: avere uomini e donne che con la loro condotta di vita danno forza all’impegno evangelizzatore che vivono. La chiamata alla missione deriva di per sé dalla chiamata alla santità. Ogni evangelizzatore è autenticamente tale solo se si impegna nella vita della santità: “La santità deve dirsi un presupposto fondamentale e una condizione del tutto insostituibile perché si compia la missione di salvezza della Chiesa” (Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 17).

Non basta rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e coordinare meglio le forze ecclesiali, né esplorare con maggior acutezza le basi bibliche e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo “ardore di santità” fra gli evangelizzatore e in tutta la comunità cristiana.
Del resto lo slancio missionario delle prime comunità cristiane insegna. Nonostante la scarsezza dei mezzi di trasporto e comunicazione di allora, l’annunzio evangelico raggiunge in breve tempo i confini del mondo. E si trattava della religione di un Uomo morto in croce, “scandalo per gli ebrei e stoltezza per i gentili” (1 Cor 1,23)! Alla base di tale dinamismo missionario c’era la santità dei primi cristiani e delle prime comunità.
L’evangelizzatore è un “contemplativo in azione”. Egli trova risposta ai problemi nella luce della parola di Dio e nella preghiera personale e comunitaria. Se non si è contemplativi, non si può annunziare Cristo in modo credibile.
L’evangelizzatore è il testimone per eccellenza dell’esperienza di Dio e deve poter dire come gli apostoli: “ Ciò che noi abbiamo contemplato, ossia il Verbo della vita …, noi lo annunziamo a voi” (1 Gv1,1-3).
L’evangelizzatore è l’uomo delle beatitudini. Gesù istruisce i Dodici prima di mandarli a evangelizzare, indicando loro le vie della missione: povertà, mitezza, accettazione delle sofferenze e persecuzioni, desiderio di giustizia e di pace, carità, cioè proprio le beatitudini, attuate nella vita apostolica (Mt 5,1-12). Solo vivendo le beatitudini l’evangelizzatore sperimenta e dimostra concretamente che il regno di Dio è già venuto ed egli lo ha accolto.
Inoltre la caratteristica che emerge in modo chiaro nella vita di chi evangelizza è la gioia interiore che viene dalla fede. In un mondo angosciato e oppresso da tanti problemi, che tende al pessimismo, l’annunziatore della buona novella deve essere un uomo o una donna che hanno trovato in Cristo la vera speranza.

Consapevoli del bisogno di senso dell’uomo di oggi, teniamo “fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2), vogliamo custodire nella memoria e nei cuori come un bene prezioso i tesori di sapienza e i moniti accumulati nei cinquant’anni trascorsi dal grande evento del Concilio Vaticano II, nei vent’anni dalla promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Tutto questo ci fa avvertire l’urgenza di rinnovare e approfondire la nostra collaborazione alla missione di Cristo. L’amore di Cristo ci spinge ad annunciare la speranza a tutti i fratelli e sorelle che incontriamo: Cristo è risorto, la morte è vinta, e vi sono ancora migliaia di uomini che accettano di morire per testimoniare la verità della risurrezione di Cristo.
La chiamata alla conversione (ndr proposizione 22) e l’eloquenza della santità sono un invito chiaro rivoltoci nel metterci a servizio della missione dell’Inviato del Padre, assumendo per intero la vocazione battesimale.

Maria Grazia Rasia

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n. 24: Dottrina sociale della Chiesa

PROPOSIZIONE 24: DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
Per promuovere una Nuova Evangelizzazione nella società, maggiore attenzione deve essere data alla Dottrina Sociale della Chiesa, comprendendo che si tratta di un annuncio e di una testimonianza di fede, un mezzo insostituibile di educazione alla fede (cfr Caritas in Veritate n. 15).
Questa adesione alla Dottrina Sociale della Chiesa deve permeare il contenuto di catechesi, educazione cristiana, formazione dei seminaristi e dei religiosi, la formazione permanente di vescovi e sacerdoti e in modo particolare la formazione dei laici.
Il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa è una risorsa preziosa nella realizzazione di questa formazione permanente.

Non sorprende la sottolineatura dei padri sinodali circa l’urgenza a una formazione sulla Dottrina Sociale della Chiesa che riguarda un po’ tutti gli stati di vita nella comunità ecclesiale: in effetti è un tema di annuncio trascurato, e il richiamo ad essa è importante proprio perché la Nuova Evangelizzazione è rivolta all’uomo di oggi, quindi alla società e alla cultura contemporanea.
Ci sono delle “resistenze” rispetto a questo insegnamento della Chiesa: personalmente penso che ci si trovi più in accordo riguardo al Mistero della Santissima Trinità che non attorno ai temi della Dottrina Sociale della Chiesa! E se vogliamo essere ancora più onesti, dovremmo ricordare le “pungenti” parola del nostro Arcivescovo Scola, quando nell’omelia della celebrazione dello scorso 2 Febbraio in S. Ambrogio, ha ricordato ai consacrati presenti “che spesso anche noi guardiamo il Catechismo della Chiesa Cattolica con supponenza!”… Verissimo! Purtroppo, a volte, riteniamo questi strumenti fondamentali dell’insegnamento della Chiesa per l’annuncio evangelico sorpassati o superflui perché “noi sappiamo cosa dire e fare …” (sigh!), cioè ci basiamo sulla nostra personale esperienza (umana, spirituale e pastorale), non ritenendo che il tesoro bimillenario della comunità ecclesiale e il lavoro cui lo Spirito Santo indica ai Pastori che ci guidano, attualizzando l’oggi del Vangelo, sia importante.
Eppure non dobbiamo dimenticare che, proprio perché cattolici, gli insegnamenti del Magistero non sono affatto secondari nel modo di vivere la fede cristiana, l’appartenenza stessa alla comunità cristiana e il modo di intendere tutta la vita stessa!.
Approfondiamo meglio: sottovalutare, per esempio, la Dottrina Sociale della Chiesa significa sottovalutare la virtù teologale della Carità. A riguardo, ricordiamo le parole di Papa Benedetto XVI nella Lettera Enciclica Caritas in veritate del 2009: “La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa. Ogni responsabilità e impegno delineati da tale dottrina sono attinti alla carità che, secondo l’insegnamento di Gesù, è la sintesi di tutta la Legge (cfr Mt 22,36-40). Essa dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo; è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici. (…)
Sono consapevole degli sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro, con il conseguente rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico e, in ogni caso, di impedirne la corretta valorizzazione. In ambito sociale, giuridico, culturale, politico, economico, ossia nei contesti più esposti a tale pericolo, ne viene dichiarata facilmente l’irrilevanza a interpretare e a dirigere le responsabilità morali. Di qui il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella direzione,segnata da S. Paolo, della “veritas in caritate” (Ef 4,15), ma anche in quella, inversa e complementare, della “caritas in veritate”. La verità va cercata, trovata ed espressa nell’”economia”della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità …
Nell’attuale contesto sociale e culturale, in cui è diffusa la tendenza a relativizzare il vero, vivere la carità nella verità porta a comprendere che l’adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale. Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti,m utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo …
L’amore nella verità – caritas in veritate – è una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione. Il rischio del nostro tempo è che all’interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l’interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano. Solo con la carità, illuminata dalla luce della ragione e della fede (ndr proposizione 17) è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana e umanizzante. (…) La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende “minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati”. Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza”.

Maria Grazia Rasia

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