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n. 29: Catechesi, catechisti e catechismo

PROPOSIZIONE 29: CATECHESI, CATECHISTI E CATECHISMO
Una buona catechesi è essenziale per la nuova evangelizzazione. Il Sinodo richiama l’attenzione sul servizio indispensabile che rendono i catechisti alle comunità ecclesiali ed esprime la sua profonda gratitudine per la loro dedizione. Tutti i catechisti, che sono allo stesso tempo evangelizzatori, devono essere ben preparati. Ogni sforzo deve essere fatto, in funzione delle possibilità della situazione locale, per offrire ai catechisti una solida formazione ecclesiale, cioè spirituale, biblica, dottrinale e pedagogica. La testimonianza personale della fede è di per sé una forma potente di catechesi.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica e il suo Compendio sono, anzitutto, una risorsa per l’insegnamento della fede e per sostenere gli adulti nella Chiesa nella loro missione di evangelizzazione e di catechesi.
Conforme alla lettera apostolica Ministeria quaedam di papa Paolo VI, le Conferenze episcopali hanno la possibilità di chiedere alla Santa Sede l’istituzione del ministero di catechista.

Penso sia urgente ribadire la necessità, nelle nostre comunità ecclesiali, di dare più posto e più importanza alla formazione dei catechisti, troppo spesso trascurata, sottovalutata o lasciata a un fai-da-te infecondo. Il Direttorio Generale della Catechesi (Congregazione del Clero, LEV 1997) al n. 234 afferma:
Qualsiasi attività pastorale, che non faccia assegnamento per la sua realizzazione su persone veramente formate e preparate, mette a rischio la sua qualità. Gli strumenti di lavoro non possono essere veramente efficaci se non saranno utilizzati da catechisti ben formati. Pertanto, l’adeguata formazione dei catechisti non può essere trascurata in favore dell’aggiornamento dei testi e di una migliore organizzazione della catechesi”.
I metodi possibili al servizio della formazione sono molti. In questi ultimi anni, la Chiesa italiana, ha indicato un modo concreto di gestire la formazione dei catechisti della Iniziazione Cristiana, ma anche ciò che essi stessi sapranno attuare con i destinatari. Si tratta del modello laboratorio.
Il termine è entrato prepotentemente in questi ultimi anni nel linguaggio formativo. La caratteristica principale del laboratorio è quella di produrre facendo, sperimentando, e di assumere l’esistenza e il vissuto dei partecipanti come luogo di ricerca, di analisi e d’intervento. Questo metodo non è l’unico possibile, ma si raccomanda per la sua provata efficacia e qualità formativa. (vedi UCN, La formazione dei catechisti nella comunità cristiana, 2006).
In proposito, proprio in questi mesi, la Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi della CEI, sta redigendo una proposta di Orientamenti condivisi sul tema della catechesi in Italia, che terrà conto anche del tema non procrastinabile della formazione. Tale testo sarà poi sottoposto alla valutazione del’Assemblea generale dei Vescovi Italiani per l’approvazione, nella speranza di ricavarne veramente un orientamento comune per le diocesi italiane, e in ricaduta, per le nostre comunità parrocchiali.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica e il suo Compendio sono gli strumenti indispensabili per la formazione spirituale e teologica dei catechisti, dando loro un quadro completo dei contenuti della fede, in sintonia con la predicazione del messaggio cristiano, così come la Chiesa Cattolica lo professa nei secoli.

Il cambiamento avvenuto in questi anni nella società civile ha reso obsoleto il “catecumenato sociale” (come è stato sottolineato da alcuni catecheti come E. Biemmi, A. Fossion, e altri), in cui le grandi agenzie educative – la famiglia, la scuola, la parrocchia – proponevano i medesimi valori cristiani ed etici : era la cosiddetta “società cristiana”. Si andava a “dottrina” per mettere in ordine le idee, perché il resto i ragazzi già lo “vivevano”. A catechismo si “imparava”. Che cosa dobbiamo credere? E ti insegnavano il Credo. Che cosa dobbiamo ricevere? Ti spiegavano i sacramenti. Che cosa dobbiamo fare? E imparavi i dieci Comandamenti. Come rivolgersi a Dio? Ed ecco la preghiera. In questo contesto per essere catechisti era sufficiente essere mamme e qualche volte anche nonne (cfr Michele Roselli, Dossier Catechista, LDC Aprile 2012).
Oggi, questa “alleanza educativa” tra chiesa e società civile nelle sue varie forme espressive, quali appunto la famiglia e la scuola, non trova più sintonia. E’ decisamente cambiato il modo di vivere, di pensare e addirittura si possono usare le medesime parole ma dandone significato culturale differente. Ci si rende conto che non è più sufficiente “imparare il catechismo” ma, occorre integrare i contenuti della fede cristiani con la vita quotidiana. Dal Documento di Base (1970), nel corso degli anni, sono stati fatti diversi tentativi quali ad esempio il rinnovamento dei catechismi con l’intento di evidenziare “per la vita cristiana” e ci si è posti alla ricerca, coadiuvati anche dalle scienze umane, di nuove metodologie catechistiche e concretamente si è passati dal “tutto a memoria”, a favore di una educazione attorno ai contenuti di fede ma con una forte metodologia “scolastica”, al “niente a memoria” favorendo maggiormente l’aspetto esperienziale, a discapito però dei medesimi contenuti.

Sono convinta che la chiave del rinnovamento della catechesi sta nell’attivare un processo iniziatico, nell’introdurre alla fede cristiana, al suo contenuto (fides quae) e all’esperienza di essa (fides qua), e queste due dimensioni sono entrambe dono di Dio.
Per attuare, dunque, una “catechesi per la vita cristiana”, come la Chiesa invita già da tempo, dal Concilio Vaticano II in poi, occorre attivare una formazione che aiuti i catechisti al passaggio da una catechesi che “mette in ordine le idee” ad un accompagnamento verso la pienezza della vita cristiana.

I padri sinodali ci ricordano inoltre che la testimonianza della vita cristiana è la prima insostituibile forma di catechesi. Come già ci ricordava Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi (n. 41), l’uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, più all’esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie.
La prima forma di testimonianza è la vita stessa del catechista, della famiglia cristiana e della comunità ecclesiale, che rende visibile un modo nuovo di comportarsi. Il catechista che, pur con tutti i limiti e difetti umani, vive con semplicità secondo il modello di Cristo, è un segno di Dio e delle realtà trascendenti e può, nel medesimo tempo, narrare e annunciare quanto il Signore sta compiendo nella sua vita. Ma tutti nella Chiesa, sforzandoci di imitare Gesù il Maestro, possono e debbono dare tale testimonianza (cfr LG 28.35.38), che in molti casi è l’unico modo possibile di essere missionari ed evangelizzatori.

Maria Grazia Rasia

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n.30: Teologia

PROPOSIZIONE 30: TEOLOGIA
La teologia, in quanto scienza della fede, ha una sua importanza per la nuova evangelizzazione.
I sacerdoti, gli insegnanti e i catechisti devono essere formati in istituzioni di educazione superiore. La Chiesa apprezza ed incoraggia la ricerca e l’insegnamento della teologia. La teologia scientifica ha il suo proprio luogo nell’università, dove deve fare un dialogo tra la fede e le altre discipline e il mondo secolare. I teologi sono chiamati a compiere questo servizio come parte della missione salvifica della Chiesa. E’ necessario che loro pensino e sentano la Chiesa (sentime cum Ecclesia). Il Sinodo propone che la nuova evangelizzazione sia considerata una dimensione integrale della missione di ogni facoltà teologica e che un dipartimento di Studi sulla nuova evangelizzazione venga istituito nelle università cattoliche.

Dal Catechismo della Chiesa Cattolica (n.94): “Grazie all’assistenza dello Spirito Santo, l’intelligenza tanto delle realtà quanto delle parole del deposito della fede può progredire nella vita della Chiesa:
- “con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le mediano in cuor loro” (DV, 8); in particolare “la ricerca teologica … prosegue nella conoscenza profonda della verità rivelata” (GS, 62 e 7; DV 23 e 24, Unitatis Reintegratio, 4).
- “Con la profonda intelligenza che” i credenti “provano delle cose spirituali” (DV, 8); “Divina eloquia cun legente crescunt – le parole divine crescono insieme con chi le legge” (S.Gregorio Magno, Homilia in Ezechielem, 1,7,8).
- “Con la predicazione di coloro i quali, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma certo di verità” (DV, 8).
La Teologia si organizza come scienza della fede alla luce di un duplice principio metodologico: l’auditus fidei e l’intellectus fidei. Con il primo, essa entra in possesso dei contenuti della Rivelazione così come sono stati esplicitati progressivamente nella Sacra Tradizione, nella Sacra Scrittura e nel Magistero vivo della Chiesa (cfr Dei Verbum, 10). Con il secondo, la Teologia vuole rispondere alle esigenze proprie del pensiero mediante la riflessione speculativa. Il lavoro teologico nella Chiesa è in primo luogo al servizio dell’annuncio della fede e della catechesi (cfr Catechesi tradendae, n. 30; Donum veritatis, n. 7), quindi a servizio della evangelizzazione.
L’invito che i padri sinodali manifestano ai teologi in questa proposizione al sentire cum Ecclesia, è molto importante. Infatti, a volte, pare si sia creata una frattura tra Teologia e Dottrina, e ancor più, tra Teologia e Spiritualità. Si sente la necessità che lo studio non sia tutto accademico ma alimenti la spiritualità (vedi Veglia Incontro internazionale Sacerdoti, Benedetto XVI con i sacerdoti, 10 giugno 2010). Occorre usare la ragione grande che è aperta alla grandezza di Dio. E’ necessario avere il coraggio di andare oltre il positivismo e andare alla questione delle radici dell’Essere, avere l’umiltà di non sottomettersi ad esempio a tutte le ipotesi del momento, ma vivere della grande fede della Chiesa di tutti i tempi.
Ancora, è indispensabile pensare che la Sacra Scrittura non è un Libro isolato: è vivente nella comunità, vivente della Chiesa, che è lo stesso soggetto in tutti i secoli e garantisce la presenza della Parola di Dio. Il Signore Risorto ci ha dato la Chiesa come soggetto vivo, con la struttura dei Vescovi in comunione con il Papa, e tale realtà garantisce la testimonianza della verità permanente.
Dobbiamo avere fiducia del Magistero permanente della comunione dei Vescovi con il Papa e nella vita della Chiesa perché è presente l’azione dello Spirito Santo che illumina e guida e, anche, dobbiamo essere critici. Il criterio della fede è il criterio con il quale vedere anche i teologi e le teologie.
Il Beato Giovanni Paolo II ci ha donato un criterio assolutamente sicuro nel Catechismo della Chiesa Cattolica: qui vediamo la sintesi della nostra fede e troviamo il criterio per vedere dove va una teologia accettabile o non accettabile.
E’ inteso che anche per i teologi vale la sollecitazione della santità e della testimonianza di vita personale (vedi proposizione 29)! Essere teologo significa vivere veramente della Parola di Dio, nutrendosi nella meditazione, vivere la fede della Chiesa e aiutare perché la Fede sia presente nel nostro oggi. Non ci sono “correnti” o “maggioranze” contro la “maggioranza dei Santi”: la vera maggioranza sono i Santi nella Chiesa e ai Santi ci si deve orientare come esempi all’unico Modello da seguire che ci ha svelato il volto del Padre: Cristo Gesù!
Pur ribadendo l’importanza della formazione e dello studio teologico (ci mancherebbe!), riporto una frase di Soren Kierkegard che mi ha sempre molto impressionata: “Ecco il grande rischio del cristianesimo: che i professori di Dio prendano il sopravvento sui testimoni di Dio!”.

Maria Grazia RAsia

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n. 35: Liturgia

PROPOSIZIONE 35: LITURGIA
La degna celebrazione della santa liturgia, il dono più prezioso di Dio per noi, è la fonte della più alta espressione della nostra vita in Cristo (SC n. 10). E’, perciò, la prima e più potente espressione della nuova evangelizzazione. Attraverso la sacra liturgia Dio desidera manifestare la bellezza incomparabile del suo amore incommensurabile ed incessante per noi, e noi, da parte nostra, desideriamo offrire ciò che è più bello nella nostra adorazione di Dio in risposta al suo dono. Nello scambio meraviglioso della sacra liturgia, in cui il cielo scende sulla terra, la salvezza è a portata di mano, suscitando il pentimento e la conversione del cuore (Mt 4,17; Mc 1,15).
L’evangelizzazione nella Chiesa richiede una liturgia che elevi il cuore degli uomini e delle donne verso Dio. La liturgia non è solo un’azione umana ma un incontro con Dio che conduce alla contemplazione e all’amicizia profonda con Dio. In questo senso, la liturgia della Chiesa è la migliore scuola della fede.

Come già affermato in precedenza (ndr proposizioni nn. 22-23), la conversione originaria riguarda chi annuncia il Vangelo prima che il destinatario di tale annuncio. Ed è vero che uno dei luoghi decisivi dove si realizza la conversione permanente dei cristiani è la liturgia. Non a caso i padri sinodali indicano la liturgia come “la prima e più potente espressione della Nuova Evangelizzazione”. Di fatto, senza liturgia, è impossibile qualsiasi forma di evangelizzazione e di maturazione della fede, da più punti di vista.
In primo luogo il suo compito è di “continuare Gesù” e non è in alcun modo paragonabile ad altre forme di mediazione dello Stesso proprie della organizzazione ecclesiastica. La liturgia contiene la parte di gran lunga più importante del deposito della fede e non è eccessivo affermare che essa è lo strumento più nobile del Magistero ordinario della Chiesa.
In secondo luogo, come affermava Odo Casel, uno dei padri della riforma liturgica del XX secolo, la liturgia vincola i cristiani all’oggettivo, essendo il culto il “qui e ora” dell’azione salvifica di Cristo attraverso un’espressione simbolica riconoscibile da tutti.
Queste due prospettive hanno trovato piena maturazione nella Sacrosanctum Concilium (1963).
Il cammino postconciliare della Chiesa italiana su Evangelizzazione e Sacramenti (1973-1980), ha dato buoni frutti nel chiarire come celebrazione e annuncio sono tra loro inscindibili, ma non ha evitato del tutto una certa strumentalizzazione della liturgia, piegandola ad una ulteriore via di catechesi oppure a sbocco finale della stessa. Vi è su quest’ultima posizione un “errore antropocentrico” che fa dipendere la liturgia da esigenze pastorali contingenti, pensandola di volta in volta o a servizio della trasmissione di determinati contenuti o come forma efficace di socializzazione ecclesiale.
Invece affermiamo che l’incontro personale di Gesù Cristo nella Chiesa avviene principalmente attraverso la Liturgia, in specie la celebrazione eucaristica, luogo di rigenerazione della fede anche e soprattutto in senso missionario.
La proposizione 35 che stiamo rileggendo insiste sul tema della bellezza (tra l’altro sviluppato in una intera proposizione, la n. 20), fa capire come la liturgia sia evangelizzatrice soprattutto nella sua capacità di attrazione. L’evangelizzazione, fin dagli inizi, non avviene solo mediante l’annuncio verbale, ma, come testimoniano gli Atti degli Apostoli, attraverso una forma di vita comunitaria che ha il suo vertice nell’azione liturgica dello spezzare il pane. Il sommario di At 2,42-47 si conclude riconoscendo che “il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (2,47). Parlando al clero della diocesi di Roma, il 22 febbraio 2007, Benedetto XVI afferma che “se celebriamo l’eucaristia come ascolto prima, poi come risposta (rispettando così il primato di Dio), la celebriamo bene. E la gente viene attirata attraverso la nostra preghiera comune nel novero dei figli di Dio”.

Alcune questioni su cui riflettere.
La nota pastorale della CEI Evangelizzazione e Sacramenti (12/7/1973) ha affermato: “Alla base di tutto, deve essere con insistenza ribadito il primato dell’evangelizzazione, che solleciti una salutare inquietudine di fronte alle mutate condizioni e quindi alle carenze evidenti di certi metodi del passato”. Se ci si limitasse ancora a concentrare l’attenzione quasi unicamente sulla prassi sacramentale, si finirebbe col ridurre il Sacramento, avulso dal suo vitale contesto di fede, a un puro gesto di pratica esteriore, senza riflessi concreti e fecondi sulla vita. Solo una convinzione profonda di tutti gli operatori della pastorale sulla priorità dell’evangelizzazione riuscirà a superare abitudini e stanchezze e a imprimere una spinta vigorosa apostolica della Chiesa in tutti i suoi settori (n. 61). Parola e Sacramento formano un tutt’uno, sono due aspetti di un unico processo salvifico (n.27), perché come insegna il Vaticano II, il legame tra l’evangelizzazione e i sacramenti “trova la sua radice nella stessa dimensione sacramentale propria dell’economia salvifica”( n.32).
Un’altra questione riguarda la “qualità evangelizzatrice” della liturgia. Come può la Liturgia essere di aiuto all’evangelizzazione, trattandosi di un linguaggio che è di sua natura simbolico-rituale? Quale è la peculiarità della liturgia in ordine alla evangelizzazione? Già questi interrogativi invitano a ricercare una risposta anche in una migliore precisazione del significato stesso della parola “evangelizzazione”, che di per sé non è solo comunicazione o informazione su Dio o un messaggio che viene trasmesso a nome di Dio, ma implica un coinvolgimento della vita di colui che viene evangelizzato così come quella dell’evangelizzatore.
L’apostolo Giovanni in 1Gv 1,1-3, ci parla dell’esperienza di fede che coinvolge l’uomo in tutte le dimensioni della sua vita, e rimanda all’esperienza sensibile: udire, vedere, toccare, contemplare. Sono i verbi che descrivono ciò che l’uomo sperimenta nella celebrazione liturgica. La dinamica della fede non può essere ridotta all’accoglienza di alcuni contenuti veritativi, ma comporta sempre l’aprire la porta del cuore a Cristo. Infatti “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus Caritas est n.1).
Vivere la liturgia, in particolare l’Eucaristia, come reale incontro con Cristo, riscalda il cuore (Lc 24,32) e aiuta a capire che la fede autentica è pervasa da amore per il Signore, così come egli lo ha descritto additando “il primo di tutti i comandamenti” (Mc 12,28-31).
La celebrazione liturgica riscatta e purifica l’amore dell’uomo verso Dio dal rischio del soggettivismo illusorio, che pretende di amare Dio con modalità che l’uomo pensa siano le migliore o le più rispondenti ai suoi propri bisogni. Invece, il valore oggettivo del rito, che l’uomo non si inventa volta per volta, mette in atto la fede nella modalità voluta da Gesù. Nel rito liturgico infatti l’uomo agisce non come primo attore, ma come destinatario dell’azione di Dio che è il grande Protagonista; nel rito l’uomo è attivamente presente, ma a sua volta viene trasformato da ciò che celebra.
Elemento fondamentale, primario, del dialogo con Dio nella liturgia, è la concordanza tra ciò che diciamo con le labbra e ciò che portiamo nel cuore.
Così si diventa capaci di essere annunciatori del Vangelo. La celebrazione liturgica, infatti, è evangelizzante anche perché conduce alla missione secondo l’incisiva affermazione del beato Giovanni Paolo II: “La missione è un problema di fede” (RM n. 11), e la fede è nutrita nella vita liturgica.

A questo punto come non ricordare le parole del card. Carlo Maria Martini nella Lettera pastorale Ripartiamo da Dio (1995) proprio sul ben celebrare, o all’impulso dato dal card. Dionigi Tettamanzi nel Percorso Pastorale Mi sarete Testimoni (2003) circa “l’alta qualità celebrativa”? Senza dimenticare la proposta formativa che il Servizio Liturgico ha proposto agli operatori pastorali nelle Quattro giorni liturgiche sul tema delle varie parti della Messa, e come lo stesso Arcivescovo Tettamanzi sollecitò le singole comunità cristiane, in particolare nell’espressione dei consigli pastorali, a un lavoro di riflessione e consapevolezza proprio sul tema delle celebrazioni festive della Eucaristia, sia in termini quantitativi che qualitativi.

Concretamente, è constatato dalla realtà dei fatti che, la modalità e le attenzioni attuate da una comunità cristiana nel celebrare la liturgia, dicono, divengono lo “specchio veritativo”, di come la medesima comunità vive le altre dimensioni della vita cristiana come l’ascolto della parola, la carità, la testimonianza, la vocazione e la missione.


Maria Grazia Rasia

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n. 36: La dimensione spirituale della Nuova Evangelizzazione

PROPOSIZIONE 36: DIMENSIONE SPIRITUALE DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE


L'agente principale dell'evangelizzazione è lo Spirito Santo, che apre i cuori e li converte a Dio. L'esperienza di incontrare il Signore Gesù, resa possibile dallo Spirito che ci introduce nella vita trinitaria, accolta in uno spirito di  adorazione, di supplica e di lode, deve essere fondamentale in tutti gli aspetti della nuova evangelizzazione, che viene nutrita continuamente attraverso la preghiera, cominciando con la liturgia, in particolare l'Eucaristia, fonte e culmine della vita della Chiesa. Di conseguenza, proponiamo che la preghiera venga incoraggiata ed insegnata sin dall'infanzia. I bambini e i giovani devono essere educati nella famiglia e nelle scuole a riconoscere la presenza di Dio nella loro vita, a lodarLo, a rendere grazie per i doni ricevuti da Lui e a chiedere allo Spirito Santo di guidarli.

S. Paolo nella lettera ai Romani (8,26-27) afferma: "Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio". Lo Spirito Santo, che fa nuove tutte le cose, fa nuova la cosa più importante di tutte che è la preghiera. La preghiera "nello Spirito" deve servire a rinnovare, nella Chiesa e in noi, soprattutto una cosa, e cioè il rapporto tra preghiera e azione, intendendo per "azione" ogni cosa che non sia la preghiera.

A volte si dice: "Prima si prega e poi si agisce", ma forse è meglio dire "Prima si prega e poi si fa ciò che è emerso dalla preghiera"! Per il dono del Battesimo, c'è in noi, come una vena segreta di preghiera, "un tesoro nascosto nel campo" del nostro cuore! Parlando di questa voce interiore dello Spirito, sant'Ignazio di Antiochia scriveva: "Sento in me un'acqua viva che mormora e dice "Vieni al Padre!". Questa vena interiore di preghiera, costituita dalla preghiera nello Spirito di Cristo in noi, rende viva e vera ogni altra forma di preghiera: quella di lode, quella di domanda, quella spontanea, quella liturgica. Soprattutto quella liturgica, il cui culmine è l'Eucaristia.

Quando noi preghiamo spontaneamente, con parole nostre, è lo Spirito che fa sua la nostra preghiera, ma quando preghiamo con le parole della Bibbia o della Liturgia, siamo noi che facciamo nostra la preghiera dello Spirito ed è cosa più sicura. Anche la preghiera silenziosa di contemplazione e di adorazione trova un incalcolabile giovamento a essere fatta nello Spirito. Questo è ciò che Gesù chiamava "adorare il Padre in Spirito e verità" (Gv 4,23).

Gli apostoli e i santi pregavano per sapere cosa fare e non semplicemente prima di fare una cosa. Occorre essere consapevoli che veramente è Dio che governa la Chiesa attraverso il suo Spirito, e che questi è l'artefice principale della missione ecclesiale e quindi della evangelizzazione. Sia Papa Benedetto XVI che Papa Francesco ci ricordano che la Chiesa non è nostra, ma è di Cristo e Lui dobbiamo seguire!

Occorre "restituire il potere a Dio". Occorre riporre la fiducia in Dio non in noi stessi. Anche se a volte può sembrare che tutto resti come prima e che nessuna risposta evidente sia scaturita dalla preghiera, non è assolutamente vero. Con la preghiera, la questione è stata presentata a Dio, rimessa, per così dire, nelle sue mani; ci si è spogliati del proprio punto di vista, dei propri interessi: qualsiasi decisione si prenderà, sarà quella giusta davanti a Dio. Tanto maggiore è il tempo che si dedica alla preghiera, a proposito di un problema, tanto minore sarà poi il tempo che occorrerà per risolverlo. Per Gesù, pregare e agire non erano due cose separate. Pregava sempre e faceva sempre la volontà del Padre.

La Chiesa non è una barca a remi che avanza per la forza e la destrezza delle braccia di chi vi sta dentro, ma è una barca a vela che avanza per il vento che la spinge "dall'alto", quel vento di cui nessuno sa di dove viene né dove va (cfr Gv 3,8) e che si raccoglie con la vela della preghiera, ma che ha una direzione certa quella di Cristo Risorto il Signore della storia. 

S. Caterina da Siena pregava così: "O dolcissimo Amore, tu vedesti in te le necessità della Santa Chiesa e le hai apprestato il rimedio che le bisogna; esso è la preghiera dei tuoi servi, dei quali tu vuoi che si faccia un muro, con il quale sostenere il muro della Santa Chiesa. Sono quei servi ai quali la clemenza del tuo Spirito Santo infonde infuocati desideri per la riforma della stessa Chiesa" (Orazione VII).

Preghiamo anche noi così, perché lo Spirito Santo faccia di ciascuno di noi una "pietra viva", per costruire un muro di preghiera che sempre si eleva per sorreggere e proteggere la Chiesa che ha il mandato di annunciare Gesù Risorto, salvatore di tutti gli uomini.

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n. 38: L'iniziazione cristiana e la Nuova Evangelizzazione

PROPOSIZIONE 38: INIZIAZIONE CRISTIANA E NUOVA EVANGELIZZAZIONE
 
Il Sinodo vuole affermare che l’iniziazione cristiana è un elemento cruciale nella nuova evangelizzazione ed è lo strumento con il quale la Chiesa, come madre, genera i suoi figli e si rigenera. Perciò proponiamo che il processo tradizionale di iniziazione cristiana, che è spesso diventato semplicemente una preparazione approssimativa ai sacramenti venga dappertutto considerata in una prospettiva catecumenale, dando maggiore rilevanza ad una mistagogia permanente, e diventando in questo modo una vera iniziazione alla vita cristiana attraverso i sacramento (Direttorio Generale Catechesi n. 91).
In questa prospettiva, non è senza conseguenza che la situazione oggi per quanto riguarda i tre sacramenti della iniziazione cristiana, nonostante la loro unità teologica, è pastoralmente diversa. Queste differenze nelle comunità ecclesiali non sono di natura dottrinale, ma sono differenze di giudizio pastorale. Questo Sinodo tuttavia richiede che quello che il Santo Padre (Benedetto XVI) ha affermato nella Sacramentum Caritatis, diventi uno stimolo per le diocesi e le Conferenze episcopali per rivedere le loro prassi dell’iniziazione cristiana: “Concretamente, è necessario verificare quale prassi possa in effetti aiutare meglio i fedeli a mettere al centro il sacramento dell’Eucaristia, come realtà cui tutta l’iniziazione tende” (Sacramentum Caritatis n. 18).
 
Si è compreso e “messo a fuoco” la necessità di “iniziare attraverso i Sacramenti” e non solo “iniziare ai Sacramenti”. Non è certo un gioco di parole:  ormai da anni, sia nella nostra Diocesi di Milano ma anche in molte diocesi Italiane, si sono attivati itinerari sperimentali di Iniziazione Cristiana ispirati al catecumenato che “inizino alla vita cristiana” e non solo alla ricezione dei Sacramenti.
Ciò significa salvaguardare l’unitarietà della Iniziazione Cristiana. Non tre sacramenti senza collegamento, ma un’unica azione di Grazia: parte dal Battesimo e si compie attraverso la Confermazione nell’Eucaristia (vedi Rito Iniziazione Cristiana Adulti nn. 27 e 306-312, 1978; Nota CEI/2 nn. 7, 17 e 46). E’ l’Eucaristia il sacramento  che, continuamente offerto, non chiude un’esperienza, ma la rinnova ogni settimana, nel Giorno del Signore.
Anche a livello di Chiesa italiana si è dichiarato il termine delle sperimentazioni, e proprio in questi mesi, la Commissione Episcopale per la dottrina, l’annuncio e la catechesi, sta redigendo un documento di Orientamenti per la catechesi con l’intento di “occuparsi dell’atto catechistico nel suo contesto (adulti ed evangelizzazione, primo annuncio, iniziazione cristiana, formazione dei catechisti), nella consapevolezza che la catechesi non può “dire/fare tutto” e che nello stesso tempo essa rimane l’attività che maggiormente qualifica le Parrocchie … ormai l’orizzonte culturale e religioso italiano, che non preclude ancora di adottare la categoria di cattolicesimo popolare per designarlo, non sopporta più la stanca ripetizione di moduli abitudinari propri di una pastorale stanziale e centrata su servizi religiosi pensati nel quadro di una società ancora largamente cristiana. Il ripensamento della presenza e dell’azione pastorale della Chiesa in questa stagione riposiziona necessariamente anche la proposta catechistica. E se il Documento Base (1970), sulla scia del Concilio, conserva intatta la sua capacità di fornire un contenuto e uno schema di approccio ancora validi nella nuova situazione, nondimeno l’attualizzazione della sua proposta ha bisogno di adattamenti e concretizzazioni, anzi di una sorta di traduzioni che renda viva l’iniziativa ecclesiale per la sua capacità di raggiungere e incontrare efficacemente le persone oggi” (cfr intervento di Mons. Mariano Crociata – segretario della CEI - Il cammino condiviso verso gli “Orientamenti per la catechesi”, alla Consulta dell’UCN, 9 aprile 2013).
Le proposte riguardanti una maggiore qualificazione di padrini/madrine, l’assunzione a pieno titolo negli itinerari di Iniziazione Cristiana della pastorale battesimale e delle prime età della vita, la dimensione catecumenale propria e ispiratrice di altri percorsi di educazione alla vita e alla fede cristiana (catecumenato adulti, iniziazione catecumenale dei fanciulli, percorsi di fede per“ricomincianti”, cresime per adulti, itinerari per il matrimonio cristiano, ecc.- vedi in proposito le tre Note pastorali della CEI), sono temi e percorsi sperimentati sul campo nelle Diocesi italiane, e siamo in attesa di tali Orientamenti pastorali per mettere a frutto “la vitalità espressa nei Convegni Regionali del 2012, che hanno mostrato nei contributi emersi anche in pubblicazioni, apparsi a diversi livelli su varie Riviste scientifiche e pastorali, come una convergenza pastorale sia possibile” (idem come sopra,  Mariano Crociata).
Grazie a questa proposizione dei padri sinodali, la riflessione e l’approfondimento sul presente tema, si amplia anche alla Chiesa universale dove, peraltro, già nel Direttorio Generale per la Catechesi (LEV,Congregazione per il Clero, 1997), si trovano  indicazioni autorevoli e importanti in merito.
 
 
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n. 39: Pietà popolare e Nuova Evangelizzazione

PROPOSIZIONE 39: PIETA’ POPOLARE E NUOVA EVANGELIZZAZIONE
La pietà popolare è un vero luogo di incontro con Cristo ed anche esprime la fede del popolo cristiano nella beata Vergine Maria e i santi. La nuova evangelizzazione riconosce il valore di queste esperienze di fede e le incoraggia come vie per crescere in virtù cristiana.
I pellegrinaggi verso i luoghi sacri e santuari sono un aspetto importante della nuova evangelizzazione. Non solo per i milioni di persone che continuano a fare questi pellegrinaggi, ma perché questa forma di pietà popolare è in questo momento una opportunità specialmente promettente per la conversione e la crescita della fede.
E’ importante quindi che sia sviluppato un piano pastorale in modo da accogliere adeguatamente i pellegrini che, in risposta al loro desiderio profondo, offra possibilità perché il tempo del pellegrinaggio sia vissuto come un vero momento di grazia.
 
Potrebbe sorgere un equivoco, che nel presente commento spero di togliere!
Che cosa significa per le nostre comunità cristiane entrare in una prospettiva di primo annuncio? (vedi proposizione n. 9). Abbandonare tutte le nostre proposte pastorali e tradizioni e cominciare “qualche cosa di nuovo”, che non sapremmo cosa sia? Si tratta di indirizzare tutta l’attività pastorale delle nostre parrocchie a esperienza di evangelizzazione di strada? 
Certo che no!
 
Sono i Vescovi Italiani che nella Nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n. 7 – 2004, affermano: “Di primo annuncio vanno innervate tutte  le azioni pastorali”.
Questa indicazione non dice di fare tabula rasa delle iniziative pastorali anche le più tradizionali, ma di inserire una prospettiva missionaria a ogni azione pastorale e spirituale che si compie in parrocchia.
Qualche esempio: quando dei genitori vengono a chiedere il Battesimo per il bambino e scopriamo che non sanno cos’è la fede, oppure sono conviventi o divorziati, senza dispiacerci troppo se non sono come li vorremmo noi, abbiamo l’occasione di intessere una relazione e proporgli di nuovo il primo annuncio della fede.
Quando incontriamo i fidanzati negli incontri di preparazione al matrimonio, è sufficiente che ripensiamo questi pochi incontri non in una prospettiva di semplice educazione umana o di supplenza dei consultori familiari, ma di proposta della fede, dopo l’abbandono del dopo-Cresima.
Quando, nella visita alle famiglie in occasione della benedizione natalizia, incontriamo persone le più diversificate: qualche superstizioso, qualcuno che si dichiara ateo, qualche altro che dice di credere in Dio ma non nei preti e nella Chiesa, ecc. …. invece di intristirsi, cogliamo l’occasione per gettare un piccolo aggancio per poterli incontrare di nuovo in un modo più “disteso”, oppure per offrirgli un piccolo spunto di riflessione allo scopo di per poter “ripensare”…
Questo vale per ogni attività parrocchiale, anche le più devozionali: processioni, mese di maggio, feste patronali (nella speranza che non siano già ridotte solo a serate danzanti, salamelle alla griglia e tornei di calcio!), devozione per qualche santo particolare, SS. Quarant’ore. Basta ripensare questi momenti significativi e aiutare il popolo di Dio che è affidato alla nostra cura pastorale  a viverle come occasioni per un rinnovato annuncio della fede alla scoperta del Vangelo.
 
L’errore che spesso si ripete nelle nostre comunità è proprio questo: moltiplicare le iniziative e in ciò che si fa dare “poco nutrimento” spirituale, cioè annunziare il Verbo fatto carne, il Signore Gesù morto e risorto per tutti e ciascuno, scadendo in risposte o iniziative puramente sociologiche o di pura aggregazione.
 
 
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n. 41: Nuova Evangelizzazione e Chiesa particolare

PROPOSIZIONE 41: NUOVA EVANGELIZZAZIONE E CHIESA PARTICOLARE
 
La Chiesa particolare, diretta dal Vescovo, aiutato da sacerdoti e diaconi, con la collaborazione di persone consacrate e laici, è  l’oggetto della nuova evangelizzazione. Lo è perché in ogni luogo la Chiesa particolare è la manifestazione concreta della Chiesa di Cristo e, come tale, inizia coordina e realizza le azioni pastorali attraverso le quali la nuova evangelizzazione viene implementata.
Nella Chiesa risuona la chiamata alla santità, diretta a tutti i battezzati, invitati a seguire il Cristo e a rivolgersi con amore e buona volontà verso tutti gli uomini, al fine di discernere l’azione dello Spirito Santo in loro: “Come vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34-35). Per le prime comunità cristiane, la comunione era un elemento costitutivo della vita di fede e necessaria per l’evangelizzazione: avevano un solo cuore e spirito. La Chiesa è comunione, vale a dire, la Chiesa è la famiglia di Dio.
La Chiesa permette a ciascuno dei suoi membri di essere consapevoli della loro responsabilità di essere come il lievito nella pasta. In questo modo, “la fede che opera per mezzo della carità” (Gal 5,6) diventerà una testimonianza contagiosa per il mondo in tutte le sue dimensioni, offrendo ad ogni persona la possibilità di incontrare Cristo e di diventare a sua volta evangelizzatore.
E’ auspicabile che ogni Chiesa particolare, qualunque siano le difficoltà, sviluppi il senso della missione tra i suoi fedeli  cooperando con le altre Chiese particolari.
 
“Costituirono quindi per loro in ogni comunità alcuni anziani e dopo aver pregato e digiunato li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto” (At 14,23). Gli apostoli Paolo e Barnaba pongono i primi passi delle Chiese sotto la guida di un collegio di anziani, loro collaboratori. Vedremo i tratti che deve assumere la parrocchia nel rispondere all’esigenza della Nuova Evangelizzazione nella proposizione 44, qui va ricordato che la parrocchia si qualifica dal punto di vista ecclesiale non per se stessa, ma in riferimento alla Chiesa particolare, di cui costituisce un’articolazione.
E’ la Diocesi ad assicurare il rapporto del Vangelo e della Chiesa con il luogo, con le dimore degli uomini.  La Chiesa particolare è fondata dalla successione apostolica da cui scaturisce la certezza della fede annunciata e, nella comunione di tutti i suoi membri sotto la guida del Vescovo, è dato il mandato di annunciare il Vangelo. La parrocchia, che vive nella Diocesi, non ne ha la medesima necessità teologica, ma è attraverso di essa che la Diocesi esprime la propria dimensione locale. Pertanto, la parrocchia è definita correttamente come “la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie” (Chl, 26).
Agli inizi, la Chiesa si edificò attorno alla cattedra del vescovo e con l’espandersi delle comunità si moltiplicarono le Diocesi. Quando poi il cristianesimo si diffuse nei villaggi delle campagne, quelle porzioni del popolo di Dio furono affidate ai presbiteri. La Chiesa potè così essere vicina alle dimore della gente, senza che venisse intaccata l’unità della Diocesi attorno al Vescovo e all’unico presbiterio con lui.
La parrocchia è dunque una scelta storica della Chiesa, una scelta pastorale, ma non è una pura circoscrizione amministrativa o funzionale della Diocesi: essa è la forma storica privilegiata della localizzazione della Chiesa particolare.
 
Più che di “parrocchia” dovremmo parlare di “parrocchie”: la parrocchia infatti non è mai una realtà a sé, ed è impossibile pensarla se non nella comunione della Chiesa particolare. E’ fondamentale valorizzare i legami che esprimono il riferimento al Vescovo e l’appartenenza alla Diocesi. E’ in gioco l’inserimento di ogni parrocchia nella pastorale diocesana. Alla base di tutto sta la coscienza che i parroci e tutti i sacerdoti devono avere di far parte dell’unico presbiterio della Diocesi e quindi il sentirsi responsabili con il Vescovo di tutta la Chiesa particolare, rifuggendo da autonomie e particolarismi. 
In questo senso ricordo l’indicazione del card. Tettamanzi nella lettera pastorale La Chiesa di Antiochia regola pastorale della Chiesa di Milano – Un anno di riposo in Dio – 2009-2010: “ … dovremmo vedere i nostri incarichi personali, qualunque essi siano, come espressione particolare di una sollecitudine pastorale comune e condivisa che ha come “soggetto” l’intero presbiterio … se uno è parroco, cappellano, responsabile di ufficio di curia, ecc. lo è a nome del Vescovo e dell’intero presbiterio. Se assumiamo questa prospettiva ci sentiremo meno isolati  e meno tentati dai personalismi del nostro lavoro pastorale … esiga comunque una chiarezza e un ordine di compiti, di ruoli e di responsabilità. Questa è un’esigenza umana da tutti avvertita e da rispettarsi, ma è anche una necessità per una comunione che voglia essere ordinata e che non debba soffocare ma valorizzare i carismi e i ministeri personali per l’utilità comune” (pp. 55-56).
La stessa prospettiva di effettiva comunione è chiesta a religiosi e religiose, ai laici appartenenti alle varie aggregazioni.
 

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