NON POSSIAMO TACERE: Giornata missionaria mondiale
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«Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20): al cuore del messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno Papa Francesco ha posto questo versetto degli Atti degli Apostoli, richiamando l’urgenza dell’annuncio nell’oggi di questo mondo.
Non possiamo tacere, quando riconosciamo l’amore di Dio per noi e per la Chiesa, quando contempliamo nell’Incarnazione fino a che punto questo amore diventi condivisione delle ferite e dei dolori, dei desideri e delle angosce.
Non possiamo tacere, perché “mettersi in stato di missione è un riflesso della gratitudine”.
Non possiamo tacere, quando intorno a noi vediamo scoraggiamento, disincanto, fatica, perché sappiamo che si può vivere la prova stringendoci a Cristo.
Credere in Gesù nel tempo della sua assenza
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Oggi siamo in preghiera a Capiago per il ritiro di Avvento di tutta la Comunità delle Ausiliarie, contemplando e lasciandoci interrogare dalle pagine evangeliche consegnate dal Vescovo alla diocesi nella proposta pastorale: "Unita, libera, lieta. La grazia e la responsabilità di essere Chiesa".
Aiutate dalla meditazione proposta dal nostro Assistente, don Antonio Torresin, ci soffermiamo in particolare su Giovanni 14,1-31: come si può continuare a credere in Gesù nel tempo della sua assenza? Domanda di fondo che ci avvicina all'interrogativo di tanti: come si può credere in un Dio non evidente?
1 - LA (STRA)ORDINARIA ATTESA di identità
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Selma è una studentessa della Facoltà di Comunicazione multimediale. Ho potuto conoscerla grazie al progetto di rete fra Licei “Prendersi cura del futuro”. Uno stile virtuoso di protagonismo giovanile voluta durante il lockdown per pandemia, allo scopo di generare diverse azioni di resistenza intraprese in favore del cambiamento auspicato da Francesco: “non si può restare uguali!”. Fra le iniziative emerse da qui vi è un appuntamento in collaborazione con l’Osservatorio Giuridico dei diritti dei Migranti di Como.
Selma stessa ci racconta il suo sogno:
Sono nata in Marocco e sono venuta in Italia all’età di circa due anni. Il mio percorso di rapporto fra la mia cultura di origine e quella italiana è stato sofferto. Mi sono trovata spesso, soprattutto durante la mia infanzia a chiedermi quale fosse la mia identità: quella che vivevo in casa o quella con gli altri ragazzi? Vivo un conflitto fra culture con tante sfumature, contraddizioni, aspetti belli e terribili. Mi sono domandata se fosse possibile tenere insieme le caratteristiche di questi due mondi chiamati a convivere in me.
La Dichiarazione Universale dei diritti umani con il concetto di “cittadinanza primaria” spinge a un superamento dei confini. Ancora oggi però tale percorso è contrastato dal rafforzamento di visioni ristrette. Selma, qual è la tua attesa?
2 - LA (STRA)ORDINARIA ATTESA di un figlio
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Conosco Sara da qualche anno, da quando è arrivata a scuola con il suo sorriso per insegnare Lingue straniere. Ha 36 anni. Viene da un’esperienza in una grande città e la sua famiglia vive lontano. Con lei e con altre colleghe condivido la pausa pranzo. Attorno al tavolo, con un thermos e un panino, settimana dopo settimana ci si racconta…
Verso la fine dello scorso anno scolastico, in una di queste brevi pause, si tocca il tema del matrimonio e dei figli. Ciascuna porta la sua esperienza. Io ascolto e mi limito a raccontare qualche “sentito dire”. Sara è silenziosa. Non ha figli. “Si è sposata da poco” – penso io. Ma ad un certo punto non riesce a trattenere un’emozione grandissima, fatta di lacrime e di nessuna parola. Sara si scusa e anche noi, che pensiamo di averle fatto del male lasciandoci trascinare da quell’argomento vitale. Ma forse quello è il luogo e il momento adatto per condividere la vita. Intuisco che sta vivendo un’attesa faticosa, dove forse non vede speranza. Subito mi viene in mente Anna della Bibbia…
3 - LA (STRA)ORDINARIA ATTESA di libertà
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Tra i tanti e differenti incontri che si vivono in Casa della Carità, da qualche anno ne abbiamo vissuti di inediti: cinesi convertiti al cristianesimo che riescono a fuggire da un regime che nega ancora la libertà religiosa e chiedono protezione al nostro Paese. Tra queste, raccogliamo la testimonianza della giovanissima Michela (nome di fantasia).
Sono una cristiana proveniente dalla Cina. Anche se la Cina è un grande paese, non c’è un posto dove i cristiani possano vivere in sicurezza. Da parte del partito comunista cinese, molti cristiani sono arrestati e perseguitati in modo brutale. Di conseguenza, molti cristiani sono costretti a lasciare le loro case e a vivere una vita in fuga, di città in città, per sfuggire agli arresti, fino a decidere di abbandonare il Paese e le loro famiglie. Io sono una di loro. Grazie al Signore, sono riuscita ad arrivare in Italia, dove c’è libertà di fede e ci sono chiese ovunque. Ringrazio il Signore di essere arrivata in un Paese così buono.
Per questo, non mi aspettavo che la commissione rigettasse la mia domanda di asilo politico: non avevano creduto alla mia storia di persecuzione! Ho ricevuto, così, una lettera di rimpatrio. Volevo solo vivere come una persona normale, essere libera di credere in Dio e leggere la Parola di Dio. Perché è così difficile realizzare quest’unico desiderio?
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