DAL CAMMINO ALLA CORSA / 2 CORREVANO INSIEME TUTTI E DUE
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Pietro, decisamente impulsivo e forse un po’ arcigno, era sempre il primo a giocarsi, a rispondere. Forte, ma anche fragile. Nel ripensare a tutti i momenti trascorsi con il Maestro, tra la folla o nell’intimità coi Dodici, l’ultimo episodio era quello che gli rodeva maggiormente: aveva rinnegato per tre volte il suo Signore, proprio come gli aveva predetto. Lui che gli aveva assicurato che non lo avrebbe mai abbandonato, che l’aveva difeso a colpi di spada al momento dell’arresto, si era poi lasciato intimorire da una giovane portinaia e da qualche servo (Gv 18,17.25-27). Codardo? Come era potuto succedere? Aveva fallito; non era stato all’altezza.
Giovanni, invece, la tradizione ce lo ricorda come il più giovane; il Vangelo lo chiama il discepolo amato, il prediletto. Lo immaginiamo di carattere gentile e sensibile, soprattutto perché così lo dipingono numerosi artisti. Lui non aveva mai abbandonato Gesù e l’aveva seguito fino sotto la croce. Delicato e audace. Anche lui, ora, rifletteva sul suo rapporto con Gesù e soprattutto a quelle ultime parole che gli aveva rivolto poco prima di morire: “Donna, ecco tuo figlio!... Ecco tua madre!” (Gv 19,26-27). Cosa gli aveva voluto dire? La sua era proprio una partenza definitiva? Non era pronto per questo distacco radicale, era ancora troppo giovane, aveva ancora bisogno di Lui. E poi, che compito gli aveva lasciato?
DAL CAMMINO ALLA CORSA / 3 Tornare senza indugio al luogo del delitto
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Si può permanere laddove è esplosa la violenza?
Si può persistere nello spazio in cui è stata crocifissa la speranza?
«Le Tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono… sono pure dei discepoli di Cristo». L’evangelista Luca sembra volerci comunicare che dall’esperienza dell’afflizione, perfino i seguaci di Gesù prendono le distanze. I discepoli, dopo la morte cruenta del Maestro, si muovono in direzione opposta - con un certo disincanto - verso Emmaus, la città il cui nome “primavera mite” esprime la ricerca di una tregua dallo spasmo del male. Ma la geografia del territorio ci rivela un cammino lento e in salita!
DAL CAMMINO ALLA CORSA: È RISORTO CRISTO!
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Sì, perché la Pasqua è l’irruzione (“rubando” le parole e alcuni spunti all’omelia pasquale del 2013 di Francesco Muraglia, patriarca di Venezia), nella storia, della salvezza cristiana.
La fede nasce in questo giorno in cui Cristo vince la morte: la vera realtà si fa strada, così, nella storia di uomini.
L’intera creazione ne viene rinnovata – il tempo, la natura, gli eventi piccoli della vita individuale o quelli grandi a livello di collettività - tutto assume un significato nuovo. Cristo ha raggiunto la “definitività” e noi ne siamo testimoni.
La nostra gioia, di cui avvertiamo l’urgenza di annunciare al mondo, non può che sgorgare da questa radicale novità.
DAL CAMMINO ALLA CORSA/4 La corsa e la forza di Paolo: “Quando sono debole è allora che sono forte”
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Abbiamo ricevuto in dono la fede, ci è stata trasmessa, abbiamo creduto. Da giovani e adulti stiamo credendo, la stiamo “personalizzando”, facendola nostra, la vogliamo conservare e correre in questo cammino verso la mèta, il faccia-a-faccia con Cristo e la pienezza di vita con Lui.
DAL CAMMINO ALLA CORSA / 5 TIMOTEO E LO SPIRITO DI FORZA
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Così fa anche Paolo nei confronti di Timoteo, appartenente alla comunità di Listra e suo collaboratore in diversi viaggi apostolici, ma prima di tutto “figlio carissimo”.
Secondo la maggioranza degli esegeti, questa lettera dovrebbe essere l’ultimo scritto di Paolo prima di morire.
Nonostante la sua giovane età, Paolo aveva affidato a Timoteo la responsabilità di reggere la comunità di Efeso. Conoscono entrambi le difficoltà della missione.
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